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Raffaele Viviani - Il teatro

Raffaele Viviani

a cura di Nunzia Acanfora


E ce ne stanno fatiche...

R. Viviani

L'arte di fare teatro

Raffaele Viviani anche se non ha scritto nessuna opera teorica per svelare i criteri della sua drammaturgia, tuttavia ha dedicato un intero capitolo (Come scrivo il mio teatro) della sua Autobiografia al suo "metodo di scrivere teatro":

Non mi fisso sempre una trama, mi fisso l'ambiente; scelgo i personaggi più comuni a questo ambiente e li faccio vivere come in questo ambiente vivono, li faccio parlare come li ho sentiti parlare. Man mano che le figure acquistano corpo e la macchietta diventa tipo, porto la mia fantasia per la via più logica da seguire, a seconda dei loro caratteri, dell'atmosfera creata; le figure, che man mano balzano vive dall'insieme del quadro, pigliano forma di veri caratteri, le porto decisamente in avanti, in primo piano e le distacco dalle figure minori che mi servono poi unicamente per dare sfondo e colore e tra questi personaggi, già definiti in pochi tocchi, io vi creo la favola. Da questo momento il lavoro comincia ad elaborarsi nella mia mente e, portandolo avanti, cerco di far camminare di pari passo lo scrittore e l'uomo di teatro e spesso l'attore non è estraneo alla passeggiata, poiché viene a portare la sua acquisita esperienza nel procedimento di essa, e solo alla metà del primo atto comincio a pensare alla chiusa più logica per il taglio finale. (R. VIVIANI, Dalla vita alle scene, Napoli, Guida editori, 1988, p. 125.)

E, soprattutto, l'autore-attore napoletano ci tiene a sottolineare che il suo è un teatro realistico, le situazioni rappresentate sono vere ed i personaggi dei suoi drammi sono creature vive e non letterarie:

Insomma, io non sono un "letterato", sono un sensibile, un istintivo; attingo la materia grezza dalla vita, poi la plasmo, la limo e ne faccio opere teatrali, soffermandomi su quanto mi è rimasto impresso, vivendo la mia infanzia a contatto della folla, della folla varia, spicciola, proteiforme, multanime, pittoresca della mia terra di sole. Il mio teatro è fatto di suoni, di voci, di canti, sempre gaio e nostalgico, festoso e melanconico, non di intrecci e di problemi centrali. Vivifico le mie vicende sceniche sempre con qualche cosa di puramente mio, di mio inconsciamente mio, se volete, e riuscendo a non rassomigliare a nessuno, penso che questo è il mio maggior merito. Le cose mie non possono rassomigliare a quelle degli altri, perché fortunatamente le cose degli altri io le ignoro. Mai come in questo caso: Santa ignoranza! (R. VIVIANI, Dalla vita alle scene, cit., p. 127)