Peppino De Filippo
a cura di Daniela Piscopo
Considerate, vi prego, il mio teatro lo specchio di voi stessi...
P. De Filippo
a cura di Daniela Piscopo
Considerate, vi prego, il mio teatro lo specchio di voi stessi...
P. De Filippo
E' una commedia in un atto, rappresentata per la prima volta al Teatro Nuovo di Napoli il 4 aprile 1931. Parla della storia di un povero suonatore di trombone, Raffaele Chianese che crede nella propria genialità di compositore, ma che vive in profonda miseria, arrangiandosi a suonare in un'orchestrina ai matrimoni. Ha sempre rifiutato altri tipi di lavori, perché lo avrebbero privato della sua dignità di artista, così, quando gli giunge in casa un ricco signore che lo scrittura, offrendogli diecimila lire d'anticipo, si sente baciato dalla fortuna e manda via il suo compare che gli aveva procurato un lavoro ben retribuito. Ma la sua felicità durerà poco: dovrà restituire il denaro perché il signore è pazzo.
AMBIENTAZIONE: la scena, unica, rappresenta la sala di una casa editrice musicale piuttosto polverosa e trascurata, trasformata a mo' di abitazione. In un angolo, vicino all'entrata, si erge un grosso sediolone. Un tavolo è invece posto a sinistra ricoperto di spartiti, un altro a destra dove stanno lavorando madre e figlia; mentre in fondo una grande porta dà sul vicolo e su di essa si legge al contrario: musica.
PERSONAGGI: Alfredo Chianese, maestro di trombone, è il protagonista della vicenda. Vorrebbe diventare un grande e famoso compositore (tra l'altro ha scritto anche un'opera dal titolo lunghissimo, che solo a sentirlo non promette niente di buono!), e immerso com'è nel suo mondo musicale crede che la fortuna giungerà da un momento all'altro. Tuttavia si lamenta della società che non ha capito la sua bravura, non ha riconosciuto le sue qualità, ma pur di non tradire questa grande passione rifiuta qualsiasi altro lavoro (il suo compare, infatti, si fa in quattro per trovargli una buona sistemazione, ottenendone in cambio insulti e maltrattamenti!) quindi vive miseramente con la famiglia, guadagnando pochi soldi suonando ai matrimoni. Amalia e Lisa, rispettivamente moglie e figlia di Chianese, non accettano di buon animo questa condizione, e soprattutto Amalia non crede molto nelle capacità artistiche del marito, che spesso prende in giro e sprona a trovare un'attività più redditizia. Anche Nicola Belfiore, maestro di tromba, vive di stenti, ma da quando ha conosciuto Alfredo, suo collega di lavoro, le cose sono addirittura peggiorate. Lo addita quindi quale "iettatore", ritenendo che a causa sua, ogni piccolo impiego che gli viene affidato, va misteriosamente in fumo. Quando giunge nel piccolo negozio di musica Alfredo Fioretti, uomo distinto, ben vestito, che si presenta nei panni di maestro di pianoforte e concertista, proponendogli un vantaggioso ingaggio con un anticipo di diecimila lire, Alfredo, accecato com'è dalla proposta, non si rende conto che l'uomo è pazzo. Saranno, infatti, gli accompagnatori del signore, rispettivamente Luigi e Attilio, a svelarglielo, facendosi restituire la caparra e lasciando il povero Chianese deluso e beffato.
TECNICHE LINGUISTICO-STILISTICHE: il testo in lingua si basa principalmente sui dialoghi, su cui scivola la trama, s'intreccia perfettamente, per poi avviarsi verso un finale di grande effetto comico. Le battute sono ora armi pungenti, ora veri e propri scontri verbali, oppure si trasformano in parole illusorie o altrimenti rilevano stati d'animo risentiti, felici, malinconici. Come sempre Peppino utilizza un linguaggio semplice, eppure minuziosamente costruito per il suo soggetto teatrale, un linguaggio che esprime l'animo del personaggio ed è funzionale al testo.
COSTUMI: l'autore non parla precisamente del tipo d'abbigliamento dei suoi personaggi. Si limita semplicemente a sottolineare il modo in cui l'individuo compare sulla scena, ad esempio: vestito bene, vestito miseramente e così via. Più dettagliato è invece il quadro che fa del protagonista, affermando che è un uomo sulla sessantina, che entra in scena con un cappotto nero, logoro e un feltro nero in testa. Ma soprattutto descrive cosa compare sotto il cappotto: una camicia, una cravatta e mutande lunghe, sulle quali fino al ginocchio ha infilato e legato due mezze gambe di un vecchio pantalone nero, in modo che con il soprabito abbottonato dia l'idea di essere totalmente vestito. RECENSIONI: In una recensione di Renato Simoni si legge: "In Don Rafele o' trombone, che è una farsa aperta con uno snello e rapido tocco finale di silenziosa commozione, vediamo un povero e sbrindellato suonatore di trombone [...] afferrare, per un attimo, il ciuffo della fortuna. [...] Le antiche facezie riecheggiate in questo atto, sono tornate, se non fresche, certo divertenti, perché con esse, Edoardo e Peppino De Filippo hanno costruito due personaggi di spiccato rilievo. [...] Attori vividi e freschi i De Filippo. C'è in essi qualche cosa che li riallaccia, per qualche aspetto, alla tradizione sancarliniana; e cioè nell'accentuazione comica del personaggio, una tendenza al fisso e al generico della tipificazione: una ricca teatralità insomma. Ma poi è anche da notare quel modo particolare dell'arte napoletana che procede più che per effusioni e per amplificazioni, per tocchi sobri, pensati, quella misura e rarità e lievità del gesto, che più che una rappresentazione dei sentimenti è un abbozzo di essi. E a queste qualità, dirò così, storiche ed etniche si deve aggiungere, in Eduardo, una nervosità tutta personale, qualche cosa che mette, anche nella comicità, una umanità e una realtà scarnite ed amare" ("Corriere della Sera", 16 marzo 1934).