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Raffaele Viviani - Poesie e canzoni

Raffaele Viviani

a cura di Antonella Massa


E ce ne stanno fatiche...

R. Viviani

Omaggio a Viviani poeta

La morte di Viviani fu annunciata dai microfoni della radio da Silvio D'Amico; lui se ne andava ma il suo ricordo, vivo e pulsante, restava nella mente di chi lo aveva amato. Sui giornali si leggeva: Un grande attore scomparso, L'arte napoletana in lutto, E' morto Raffaele Viviani, a testimonianza della perdita di un grande attore-autore di quel tempo "lui se ne va - scriveva Emilio Tedeshi - e noi vogliamo tenerci nell'intimo il ricordo del suo volto mezzo plebeo e mezzo nobile, della sua voce soave, o appassionata, o aspra, del suo gestire che punteggiava meravigliosamente le frasi, alla luce della ribalta. Il suo posto rimarrà vuoto forse per troppo tempo; forse, anche per sempre".
Questa stessa sensazione la provava Mario Stefanile, che amò ricordare Viviani nell'ultima notte in cui lo vide recitare in redazione: "Fu una notte d'estate l'ultima volta che Raffaele Viviani salì in redazione e, nella stanza di Nazzaro, improvvisamente troncato a mezzo un discorso sul teatro, cominciò a inventare le mille creature di Napoli, rifacendone le voci con la sua voce: roca e disperata, arsa e tetra, furente e appassionata. Nazzaro si stringeva in sé come in un suo freddo subitaneo, io chiudevo gli occhi e avrei voluto anche il cuore chiudere, qualcuno scappava via dalla stanza, certo per non scoppiare in singhiozzi: e Raffaele Viviani, snodandosi dalla sua sedia, movendo intorno il capo come un cieco che cerca il sole o un agonizzante che chiede l'aria che gli manca, s'alzava in piedi, a braccia ciondoloni lungo i fianchi sempre più alto, sempre più antico, sempre più leggendario era nella notte d'estate il venditore d'olive, il venditore di gamberi, il venditore di cocomeri, era Napoli quando si alza nelle notti della sua vita e canta frutti e cibi, calma la fame degli abitanti con la sua stessa nenia di tremila anni fa, avvia al sonno le creature dei vicoli e dei larghi, delle calate e dei fondaci. Poi, s'interruppe di colpo, si guardò intorno smarrito, rise, se ne andò via, rigido ed impettito, rasentando le pareti scomparve. Cominciava così ad andar via per sempre, cantando con la sua voce bruciata e straziante di dolcezza, lasciandoci nello scrigno della memoria, in un enorme silenzio di notte napoletana, le voci delle mille creature che di volta in volta egli fu, e restando in ognuna sé stesso, l'uccello di fuoco del nostro teatro, del teatro di ogni tempo e di ogni terra, il miracolo in terra di un'esplosione di vita che non si rinnoverà mai più".
Il ricordo di VIviani, vivi nel cuore e nella mente di chi lo ha conosciuto, sono d'inestimabile valore, ma soprattutto a distanza di anni rappresentano, per noi che non abbiamo avuto la fortuna di vederlo mai recitare, una testimonianza vera ed autentica di un uomo che non è mai scomparso del tutto.
La morte, infatti, trascinò via il corpo di Viviani che "seppe afferrare i suoi giorni, nell'Arte e nella Vita, poiché quasi presagiva che un giorno tutto sarebbe finito in vortici di sangue e di miseria", ma "tutti quanti che l'udimmo, siamo rimasti (oggi che è scomparso dalla terra) con la Sua presenza e la Sua voce straviva in noi".
I suoi versi - continua Buzzi - "furono dei lembi di vita, immersi nel circuito delle anime. I manifantasmi, li accompagnava con dei gesti plastici alla Gemito. Gli accenti del poeta si trasfondevano, così, in quelli delle sue creature", così che chi lo ascoltava riusciva, per un miracolo mistico, a penetrare "nel tipico arcano di quella cara gente pittoresca, ritrovandola nella parola e nel gesto del poeta dicitore, proprio così come la natura e la leggenda e la storia l'hanno creata".