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Raffaele Viviani - Poesie e canzoni

Raffaele Viviani

a cura di Antonella Massa


E ce ne stanno fatiche...

R. Viviani

Tavolozza

Al vociferare della postuma pubblicazione della raccolta di versi Tavolozza, Viviani era già un apprezzato commediografo e un grande attore, ma questa raccolta rappresentava la manifestazione dell'altro Viviani, quello del poeta semplice, schietto che riusciva "con una velocità fantastica ad intercalare parole italiane a parole dialettali", quindi la rivelazione di un grande poeta dialettale.

Questi versi il pubblico - afferma Bassano - già aveva avuto modo di conoscerli dalla viva voce dell'autore che, nelle sere di beneficiata, ama recitarli tra un atto e l'altro di qualche sua commedia. A rileggerli, puliti e catalogati tra le pagine del libro, non è a credersi guadagnino gran che: durano di più, e in questo sta il loro pregio. Ma anche leggendoli li "sentite" detti dalla voce di Viviani. Da quella voce non bella, roca e aspra, ma che sa rendere, colorire, vivificare mirabilmente tutto ciò che dice; quella voce che udita una volta non si dimentica mai più e rimane lì ferma accanto a quella di Emma Gramatica, di Alda Borelli, di Francesco Pastronchi…Di certe figure di palcoscenico, a frugar nel guazzabuglio dei ricordi, viene fuori il tono, il timbro della voce, e poi magari il resto: viso, corpo, gesti. Ma questi sono spesso inutili, quando la voce è individuata. Così di Viviani.

Il titolo dell'opera, continua Bassano, richiama alla mente quello della raccolta di versi, pubblicata per la prima volta nel 1862, da Emilio Praga,

ma tanti anni ormai sono passati e così poco furono e sono letti i versi del Praga che questa "tavolozza", dice Viviani, tutta vivida e grondante di smaglianti colori, se ne sta sola sulla breccia mentre quell'altra ne rimane lontana e smagata. Certo che questa dell'attore napoletano merita in pieno il titolo multicolore e lo mantiene fino all'ultimo rigo, ricca di versi sonori, burleschi, sentimentali, drammatici, ironici, napoletanissimi sempre.

In un suo libro autobiografico, pubblicato quattro anni or sono, Viviani spiega come e perché è poeta e a qual genere appartiene la sua poesia:

La mia musa è facile e scorrevole. Nelle mie poesie non metto niente di più e niente di meno del necessario. Mi piace il quadro disegnato con poche pennellate, ma precise e fluide come la nostra lingua, parlata, senza che il verso risenta del tormento. Più è umana la "chiacchierata" più la poesia è perfetta. Sono, direi così, un "poeta pittore", perché mi piace fare la poesia colorita. A pennellate vivide, come chi descrivendo la colorisca. E ancora: Io non sono un letterato, sono un sensibile, un istintivo; attingo la materia grezza dalla vita, poi la plasmo, la limo e ne faccio opere teatrali, soffermandomi su quanto mi è rimasto impresso, vivendo la mia infanzia a contatto della folla, della folla varia, spicciola, proteiforme, multanime, pittoresca della mia terra di sole.

Viviani dunque, penetrando nelle viscere di Napoli, ci restituiva, nei suoi splendidi versi, quel groviglio di sentimenti e di pensieri che si celavano dietro la città e le sue creature; in essi è "un'accorata amarezza, un trepido amore che davvero non possono essere stati suggeriti che da un'anima di poeta".
Si registrava, così, un'altra delle molteplici manifestazioni di Raffaele Viviani, che se pur apprezzata da molti suscitò anche giudizi negativi che riguardavano non il contenuto della poesia, ma il dialetto utilizzato.
Amoroso sosteneva, infatti, che la forma dialettale non avrebbe entusiasmato i critici

specialmente coloro che in materia di dialetto ritengono che contenuto e forma debbano essere un tutto indiscindibile. Il Viviani, difatti, abusa, talvolta, di parole non solo, ma anche di locuzioni italiane…. Crediamo che il Viviani sia caduto in questo eccesso proprio perché scrittore di teatro ed attore e, come tale, costretto ad adeguare il dialetto alla lingua per la necessità di comunicazione con i pubblici di altre città e di altre regioni.

Amoroso sente di dover fare questi appunti a Viviani "che possiede qualità poetiche ed ha raggiunto in arte la vetta", perché possa perfezionarsi ed eliminare "quei nei che inficiano la sua opera di poeta, ora che, dopo appena qualche mese dalla prima, prepara la seconda edizione delle sue poesie".
Gennaro Scognamiglio, invece, pur lodando la bellezza generale del libro, usa parole forti contro la traduzione letterale delle sue poesie

Non mi è possibile lodare questa sua iniziativa. Il commento va bene, ma la traduzione letterale, no: un glossario, nella sua sobrietà limitato alle parole e alle frasi tipicamente napoletane che non richiamano alla mente il corrispondente concetto italiano a chi non sia addentro alla nostra parlata dialettale, avrebbe sostituito più vantaggiosamente la traduzione letterale che non sempre è elegante.