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Peppino De Filippo - Testi on-line

Peppino De Filippo

a cura di Daniela Piscopo

 

Considerate, vi prego, il mio teatro lo specchio di voi stessi...

P. De Filippo

 

Pappagone

Nel 1966 Peppino inventò un'autentica maschera nel corso di una trasmissione televisiva intitolata "Scala Reale", più precisamente andò a ripescare un personaggio creato molti anni prima per la commedia di Armando Curcio I casi sono due, si trattava del cuoco Gaetano Esposito che aveva fama d'essere bugiardo e imbroglione, nato da una relazione extraconiugale del barone Ottavio del Duca.
Bastò il cambio del nome, qualche ritocco e così nacque Pappagone, fenomeno televisivo degli anni '60, vera ultima maschera italiana. Anche in questo caso, come per le opere teatrali, la tradizione della Commedia dell'Arte ebbe un peso rilevante. Dopo Pulcinella, Felice Sciosciammocca, la figura di Gaetano Pappagone si presentò con tutti i connotati di personaggio comico, farsesco, un po' stupidotto alle dipendenze del "Cummantatore Pupino Di Filippo": una maschera piena di vita, allegra, dallo spirito bizzarro, popolare, scaltra, goffa, dietro la quale si legge tutta la saggezza, la furbizia, l'intelligenza della gente di strada che crea una propria filosofia, un proprio stile a volte anche scanzonato per non lasciarsi sopraffare dalle traversie quotidiane. Pappagone diventa l'alter ego di Peppino, che con ironia si prende gioco di se stesso, ma è altrettanto personaggio autentico, nel quale ognuno può riscoprire una parte di sé, dei propri difetti e delle proprie manie. Volutamente amplificato nei suoi eccessi, Pappagone, grazie al nuovo linguaggio creato per lui, diventa strumento di cui l'autore si serve per abbattere con delicatezza i muri delle ipocrisie e i luoghi comuni del suo tempo. Da qui la grandezza e la modernità che contraddistinguono questa maschera, nonché la bravura di Peppino nel saper costruire una lingua apposita, fatta di mille sfumature, colori, neologismi, gerghi in vernacolo-italianizzato. Di grande effetto quindi i suoi "piriché", "eque qua", "anzio", "propeto", "tante esequie", e numerose altre, che vanno a formare un vero e proprio dizionario, un nuovo linguaggio del nonsense, un linguaggio alla rovescia che rappresenta il trampolino dal quale Peppino si lancia, lasciandosi alle spalle il passato, la Commedia dell'Arte e le sue maschere.

 

Filastrocca di "Gaetano Pappagone"

TRATTO DA: TuttoPeppino ovvero una straordinaria antologia di sketch, poesie, favole, racconti, canzoni e caricature con pagine anche inedite di teatro, a cura di Rodolfo Di Giammarco con la collaborazione di Lelia Mangano De Filippo, Roma, Gremese, 1992.

 

Mi chiamo Pappagone,
sono un grande ignorantone.
Quando parlo l'italiano
non si sa se son siriano,
turco, russo, oppure che...
e vi dico il piriché:
Quando al mondo son venuto
il cervello s'è perduto.
Una lingua mal creata
la favella m'ha 'nguaiata.
Sulla testa i miei capelli,
sempre ruvidi e ribelli,
sull'occipite un riccetto
fa più stupido il mio aspetto.
Sì lo so che sono fesso,
ma felice son lo stesso.
Già che al mondo ci si viene
una volta, allor conviene
che la vita te la spassi
senza misurare i passi.
Se vuoi vivere felice,
non sentir quel che si dice.
Fai lo scapolo e vedrai
sempre libero sarai.
Se vuoi star di buon'umore
non recarti dal dottore
puoi curar le malattie
sempre stando in allegria.
Chi di solito si lagna
la scalogna l'accompagna.
Se vuoi farti molti amici,
fatti prima assai nemici.
Ti diran che sei sincero
solo se non dici il vero.
Non uscire con l'ombrello
quando fuori il tempo è bello.
Quando scoppia il temporale,
mangia pepe, pane e sale...
Più la rima non mi viene
e finire mi conviene.
Questa storia, si capisce,
non aiuta, né istruisce.
E' servita solamente
per sentirci allegramente.
Ora fo' corna e bicorna
ed a casa me ne torno.
Pappagone se ne va
ripetendo ecque qua!