Enzo Moscato
a cura di Isabella Selmin
Nessuna parola già detta andrebbe abbandonata mai, in teatro.
E. Moscato
a cura di Isabella Selmin
Nessuna parola già detta andrebbe abbandonata mai, in teatro.
E. Moscato
Mal-d'-Hamlé si presenta come un singolare "pamphlet" in liberi versi, una specie di "puzzle", un gioco di retorica, dal sapore quasi medieval-nominalistico (e la dimensione medieval-nominalistica, si sa, costituisce una delle nostalgie più forti per Amleto), dedicato non tanto alla "lettera", cioè alla storicità, alla classicità, al déjà vu / déjà écouté, di questo straordinario emblema drammatico, quanto, e soprattutto, al suo "spirito", alla sua essenza di fondo, che sono, ancora oggi, a nostro parere, spirito ed essenza di opposizione, di ribellione, all'intrigante e ipocrita "fatticità" delle cose del mondo, e praticati attraverso la forza negativa, critica, delle parole. Lavorando su questa traccia puramente metaforica/fonematica dell'Amleto, il percorso di scrittura e di scena proposto tende a mettere a fuoco non tanto l'aspetto razional-sillogistico, l'astuto calcolo logico, camuffato da idiozia, giocato a più riprese dal personaggio, quanto semmai l'impenetrabile mistero, l'enigma-significante della sua anima, quel suo lirico segreto, quei suoi riti solitari, fatti di dubitazione, "calembour", incessanti domande intorno al senso. Della vita e della morte, prima di tutto e poi, a seguire, intorno al senso stesso del "senso" con un movimento perpetuo, spiraliforme, reiterante, ossessivo, tipico della poesia, e che ha nella Lingua, nelle Lingue, il proprio campo/oggetto privilegiato di riflessione/indagine.
Enzo Moscato
(in "Patalogo", n. 17, Milano, Ubulibri, 1994, p. 223)