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Autori - Raffaele Viviani

Raffaele Viviani

a cura di Nunzia Acanfora


E ce ne stanno fatiche...

R. Viviani

Viviani e i comici

Singolare fu il rapporto tra Raffaele Viviani ed i membri della sua Compagnia. La legge suprema, per lui, grande maestro di recitazione era la verità, l'umanità. Il suo precetto fondamentale era: "Avita essere umani". All'attrice o all'attore meno esperto, egli non chiedeva altro che la semplicità dell'intonazione.
Viviani dedicò tutta la sua attenzione alla formazione dei giovani attori, scrive nell'Autobiografia:

I miei comici li ho scelti a preferenza non tra le vecchie file dei cosiddetti "passoloni", ma tra i nuovi alla recita: per avere materia vergine, creta molle da plasmare, non credo alla valentia di chi fa il comico da quarant'anni. Chi è nuovo alle scene, vi porta sempre una freschezza propria, una sincerità non guastata attraverso lunghi anni di mestiere; il novizio vi porta sempre il suo vivo entusiasmo, la sua illusione intatta, il suo proposito aguzzo di arrivare. (R. VIVIANI, Dalla vita alle scene, Napoli, Guida editori, 1988, p. 133-134.)

Viviani, autore e capocomico, diversamente da quello che avveniva nella Commedia dell'Arte, dove i singoli particolari erano affidati all'improvvisazione degli attori, nel copione stabiliva già ogni singolo gesto dell'attore.

Il personaggio più insignificante non è abbandonato un istante a se stesso; prima di incominciare le prove di un lavoro Viviani sa già esattamente quanti passi ognuno farà, dove si metterà a sedere, quando farà il gesto di meravigliarsi e quando si darà l'aria del finto tonto. Dispone costantemente di un coro, e i singoli coristi si comportano in iscena come se fossero primi attori; almeno Viviani non fa nessuna differenza nell'importanza di questi e di quelli. I suoi più bei lavori sono tutti corali; tutte le parti hanno all'incirca la stessa estensione: è strano come proprio questa eguaglianza tra gli attori dia maggiore risalto a ciascuno. (V. PANDOLFI, Antologia del grande attore, Bari, Laterza, 1954, p. 460.)

La sua disciplina fu eroica. Una commedia anche se si fosse replicata cinquanta, cento volte, egli non mutava, non alterava gli atteggiamenti o le battute delle messinscena precedenti. Il copione era legge e quando, durante le prove, accadeva che un cambiamento, un'aggiunta si rivelassero essenziali, la battuta veniva subito inserita nel copione e diventava testo a sua volta. "Nessuno degli attori - come scrive Ernesto Grassi - si sarebbe mai permesso di aggiungere una sillaba a ciò che doveva dire, dal momento che non se lo permetteva lui che era il maestro di tutti". Fu un severo direttore di scena non solo nei confronti degli altri ma anche verso se stesso. Una delle sue massime era: "Impara bene la parte, se pretendi che i tuoi dipendenti la sappiano". Nelle sue memorie lasciò scritto:

La Compagnia dev'essere un'orchestra bene affiatata alla quale non deve difettare nessuno strumento, onde chi maneggia la bacchetta possa ottenere gli effetti voluti; guai! Quando in una Compagnia serpeggia la discordia o chi dirige è fiacco di polso! Allora è presa la mano dai componenti stessi dell'orchestra a tutto danno dell'esecuzione, si capisce. (R. VIVIANI, Dalla vita alle scene, cit., p. 133.) Con ferrea disciplina Viviani formò e diresse quest'orchestra.