Peppino De Filippo
a cura di Daniela Piscopo
Considerate, vi prego, il mio teatro lo specchio di voi stessi...
P. De Filippo
a cura di Daniela Piscopo
Considerate, vi prego, il mio teatro lo specchio di voi stessi...
P. De Filippo
Il 10 dicembre del 1944, al Teatro Diana di Napoli la compagnia "Il teatro Umoristico dei De Filippo" si scioglie, mettendo fine ad un lungo periodo fatto di contrasti, incomprensioni e stili artistici differenti.
Sono questi gli anni in cui, accanto alla scena teatrale ottocentesca, che aveva visto il trionfo del grande attore-mattatore, la sua tirannia rispetto ai testi, ai compagni e ai ruoli da interpretare, s'inserisce il nuovo teatro di regia, che immediatamente mostra la sua forza prevaricante rispetto all'attore, al pubblico e in genere a tutta l'organizzazione dell'evento scenico. E' proprio in questo contesto teatrale di transizione che lo scioglimento del gruppo assume un suo particolare rilievo, dal momento che i De Filippo avvertivano pesantemente le contraddizioni del tempo.
C'era da una parte sicuramente un bagaglio culturale notevole, di chi aveva calcato le scene sin da piccolo, oltre il legame familiare con un genio del teatro dialettale come Eduardo Scarpetta; ma dall'altra parte forte era anche l'esigenza di un rinnovamento sia linguistico che testuale; c'era insomma la consapevolezza che l'elemento reale fosse indispensabile alla drammaturgia, per renderla contemporanea.
Quindi l'allontanamento dei tre fratelli, per quanto doloroso per il pubblico, permise di chiudere la porta del teatro antecedente e di spalancare quella del nostro teatro moderno, regalandoci le straordinarie esperienze personali dei De Filippo.
Da lungo tempo ormai i due fratelli camminavano su binari artistici differenti, e probabilmente all'origine dei loro dissidi c'era proprio la nuova concezione eduardiana del teatro. Ad un certo punto infatti si vennero a creare due diverse intelligenze, come ricorda Franco Carmelo Greco: "in Peppino, tutta interna alla scena, tutta dimensionata sull'attore, tutta proiettata ad un attraversamento della caratterizzazione comica per una elaborazione di forme espressive e linguaggi comunque legati al comico; in Eduardo, invece, tutta interna all'identificazione e definizione di un quadro e di un attore sociale di tipo piccolo borghese che consentisse all'autore-attore teatrale l'elaborazione di una drammaturgia complessa, dal caratterizzante registro contaminato di comico e tragico. Quindi se Peppino si muoveva oltre e al di là del testo, uscendone fuori, Eduardo sviluppava la sua interpretazione attorica all'interno del personaggio: Peppino portava il personaggio fuori di sé, verso l'attore e la scena; Eduardo portava la scena e l'attore verso il personaggio" (Eduardo e Napoli. Eduardo e L'Europa, Napoli, ESI, 1993).
Si venne a creare così un vero e proprio solco nel modo di concepire il teatro stesso.
Eduardo elaborò una forma di umorismo più costruito, che mostra la parte amara della risata, che s'immerge nel quotidiano da cui prende spunto e che soprattutto va a scoprire quanto di più complesso si nasconde dietro l'apparenza della vita. Peppino, invece, che aveva fondamentalmente il temperamento del comico, scelse la via della caricatura assoluta, dell'improvvisazione, inserendosi in un contesto che aveva tanto il sapore della tradizione, quanto quello dell'innovazione.