Leo de Berardinis
a cura di Marilena Gentile
Il teatro è veramente lo specchio profondo del tempo, dove l'uomo riflette se stesso, non per fermarsi nella fissità della propria forma, ma per scrutarsi, allenarsi, come un danzatore.
L. De Berardinis
De Berardinis, l'eroismo dell'avanguardia e il teatro come gesto di vita
Al Mercadante in "Come una rivista"
Ce li ho ancora negli occhi e nelle orecchie, quei ragazzi e quelle ragazze che non volevano lasciarlo andar via e gridavano e gridavano il suo nome. Pioveva, a Bologna, la sera di Tutti i Santi scorsa. Ma lì nel convento di San Leonardo, proprio dove in un tempo lontano c'era stato l'altare, un nuovo sacerdote aveva celebrato un rito benedetto da un segreto calore: poiché di parole infinite, e infinitamente cangianti, si vestiva la sua liturgia, mentre il suo corpo si perdeva in una rete fittissima di gesti cadenzati e di passi lenti, come in una danza lieve sempre sul ciglio dell'immobilità e, dunque, oltre la volgarità del significato.
Sì, Leo De Berardinis. Lo spettacolo - che prendeva il titolo, Past Eve and Adam's, dal Finnegans wake di Joyce - era un'ora e mezzo di vertigine pura, in cui risuonavano, inseguendosi e accavallandosi, versi e prose tra i più alti della storia letteraria, da Omero e Sofocle a Leopardi e Pasolini, passando per Dante e Shakespeare, ovviamente, ma anche per Salomone e Rimbaud; e approdava, quella vertigine, a un disperato, e pure amorevole e consolante, catalogo della bellezza: la bellezza inquieta che ci tocca oggi, forse la "bellezza che uccide" di Rilke, certo la bellezza ch'è fatta di tutti i nostri incanti e di tutte le nostre perdizioni.
Così Leo celebrava (e non poteva essere diversamente) anche la vittoria su una grave malattia. E dico che non poteva essere diversamente perché - se Carmelo Bene è stato l'esteta dell'avanguardia teatrale italiana - lui ne è stato il guerrigliero o, almeno, il guastatore. Basterebbe ricordare questa sua inequivocabile dichiarazione programmatica: "Fare teatro è eversione. Io nego il teatro come rappresentazione perché è borghese, hegeliano, espressione di un potere. Il teatro è essere, non in senso romantico, ma politico. In questo modo, diventa una forza rivoluzionaria, perché si sgancia dalla cultura di potere".
Non a caso, pur avendo incominciato proprio con Bene, negli anni gloriosi delle "cantine" romane, ben presto Leo abbandonò la capitale e, insieme con Perla Peragallo, se ne venne quaggiù a fondare il Teatro di Marigliano: che diede vita a spettacoli come 'O zappatore, King Lacreme Lear Napulitane, Sudd, Chianto 'e risate e risate 'e chianto e Avita muri', operazioni da antologia che - muovendo, fra l'altro, da una parodia della "sceneggiata" - si fondavano sul tentativo di far reagire in violenta combustione la cultura "alta" con quella "bassa" delle tradizioni locali.
L'ultimo degli spettacoli citati, e giusto il titolo, coincise con la fine del Teatro di Marigliano: era la riduzione al grado zero della drammaturgia, nient'altro che un rumore fra i tanti dell'esistenza quotidiana. Ed ecco perché di Leo non si può parlare semplicemente come di uno dei maggiori rappresentanti dell'avanguardia teatrale italiana. Bisogna aggiungere che è il più puro ed eroico, giacché di quell'avanguardia ha avuto il coraggio di assumere su di sé, con dolore (e pagando persino il prezzo di una dura emarginazione), anche la degradazione e la morte.
Ora, da stasera a domenica Leo De Berardinis torna a Napoli, al Mercadante, con un nuovo allestimento di Come una rivista. E a Napoli stiamo per celebrare il centenario della nascita di Eduardo De Filippo. È proprio il caso di ricordare che, nel '91, per l'appunto a Leo venne assegnato il prestigioso "Premio Eduardo" di Taormina Arte, con una motivazione che, mentre gli riconosceva "il crescente impegno artistico verso la ricerca di nuove impostazioni espressive", sottolineava, giusto, la sua dedizione agli "ideali e valori umani dell'opera eduardiana"?
Sì, è proprio il caso di ricordare tutto questo. Perché a Napoli continua a restare irrisolto il problema della direzione artistica, guarda un po', del Mercadante medesimo. Ieri pomeriggio, poco prima d'iniziare le prove, Leo mi ha detto: "Riflettiamoci, è in questa città che ha conosciuto i più grandi esempi - con i comici dell'Arte prima e con Viviani e, appunto, Eduardo poi - la tradizione degli autori-attori in cui si può rintracciare la vera identità del teatro italiano. Sarebbe Napoli, dunque, la sede ideale di un teatro nazionale di ricerca che reinvesti quell'enorme patrimonio attorico invece d'imbalsamarlo in un museo". E allora, forse è a portata di mano la soluzione del problema di cui sopra.
Enrico FIORE, "Il Mattino", 27 aprile 2000.