Raffaele Viviani
a cura di Nunzia Acanfora
E ce ne stanno fatiche...
R. Viviani
a cura di Nunzia Acanfora
E ce ne stanno fatiche...
R. Viviani
'O mastro 'e forgia
Come in tutte le commedie di Viviani, vivacissime, anche in questa, rappresentata ieri sera al Trianon, la tradizionale materia dialettale si rinnova e si rinfresca per un movimento improvviso, che la sviluppa in modo impensato e insueto.
Dapprima assistiamo soltanto alla tristezza e al tormento del fabbro ferraio don Giovanni, che la moglie ha lasciato. Egli fa ogni sforzo per dominare la propria angoscia, ma non ci riesce. Il pensiero è sempre là, come dice la canzone. Non c'è discorso suo che non sia ricondotto, per una ragione o per l'altra, verso la donna infedele, che egli ha adorato e che adora. Questa pena, che sembra svagata, ed è, invece, sempre attenta a sé stessa, è espressa nei modi nervosi e pittoreschi caratteristici del Viviani autore, così somigliante al Viviani attore. Si sa come egli procede. Chiarisce gli stati d'animo, facendo sbocciare dall'azione piccoli episodi comici o descrittivi, che la arricchiscono senza farla sostare e senza farla deviare. C'è, in questa commedia, la storietta di una lettera che nessuno riesce a leggere, perché tutti i presenti e i sopravvenienti sono analfabeti, che sembra porti una nota allegra, e, invece, gradua abilmente lo scoppio del dolore; e c'è un'altra scena, nel secondo atto, che ha per soggetto il gonfiamento e l'ascensione di un palloncino di carta, che per riferimenti gai si ricollega al fondo drammatico della commedia, senza contrastare con esso, ma anzi, con efficace espediente, rendendolo più intenso.
Donna Carmela, la moglie fuggitiva, si pente e supplica il marito di riprenderla. Apprendiamo che si è pentita subito d'aver lasciato la casa maritale. Tanto che non ha commesso nessun peccato. Aveva intenzione di cedere alle calde suasioni del suo innamorato, ma poi non ha osato passare il Rubicone. Naturalmente, la gente ha chiacchierato; chiacchierava anche prima, quando donna Carmela, non ancora decisa a prender la via dell'uscio, civettava con il suo corteggiatore. Noi che ignoriamo l'innocenza di donna Carmela, un po' dura, a dire il vero, da mandar giù, ci aspettiamo che la commedia finisca o troppo male o troppo bene; o con la violenza o con l'intenerimento. Invece, essa trova una svolta interessante. Don Giovanni ama Carmela, ancora, e potrebbe anche crederla incolpevole; ma riprenderla con sé non può. Non può, perché tutti la credono caduta. Le apparenze stanno contro di lei. Non si può sfidare la vox populi senza coprirsi di ridicolo o di disonore. Perciò, pianto, spasimo, ma pacificazione no. Ecco un tratto che ha sapore di verità e che è espresso con un misto d'aspra ira e di commozione, molto efficace.
Questa è una delle poche scene drammatiche; quasi tutte le altre sono gioconde. Il Viviani ha avuto l'abilità di presentarci con semplicità popolare don Giovanni, e quindi di non farne un povero uomo cupo e gemente o minaccioso, ma un vivo personaggio, sofferente in mezzo al suo prossimo che non soffre affatto con lui; e perciò alla spontanea animazione di questo prossimo, spontaneo e animato anch'egli si mescola. Il riso è frequente, eppure il dramma non cessa mai d'essere presente. Buona commedia dialettale, senza superfluità e senza retorica. Fu applaudita molto, a scena aperta più volte, e quattro o cinque volte alla fine d'ogni atto. Il Viviani recitò con quella verità ora sciolta ora dinoccolata, ora ricca ora secca, che gli è propria, e con passaggi rapidi da una intonazione all'altra e commoventi alterazioni della concitazione comica e della concitazione drammatica. Molto bene, con tipica e appassionata schiettezza, ha recitato la signora Scarano; e piacquero, per la solita disinvoltura misurata e briosa, la Di Furia, il Fortezza, il Ragucci, la Pisano e l'Amodio.
Renato SIMONI, "Corriere della Sera", 14 marzo 1931.