Raffaele Viviani
a cura di Nunzia Acanfora
E ce ne stanno fatiche...
R. Viviani
a cura di Nunzia Acanfora
E ce ne stanno fatiche...
R. Viviani
Il testamento artistico
"Uno resta pe' chello che lascia. Uno campa finché tene 'a dicere quacche ccosa. Ed io chisti cinch'anne ca so' stato senza recita', è comme si mme fosse fatto n'esame 'e cuscienza. Pur'io l'aggio scritto, 'nu spettacolo. Nun 'o ssape nisciuno: 'o ssaie sulo tu, mo ca te ne parlo, ma tu, però, m'hê 'a prumettere ca nun 'o ddiciarraie a nisciuno."
Questo - nella prefazione a I Dieci Comandamenti comparsa nell'antologia pubblicata dall'Ilte nel '57 - Lucio Ridenti immagina che gli abbia detto Raffaele Viviani, venuto a trovarlo dall'aldilà nella sua camera d'albergo a Firenze, dove si trovava per la prima di Carosello Napoletano. E dunque, ce n'è più che abbastanza per considerare quel testo come un vero e proprio testamento. Non a caso, scritto fra il '45 e il '47, e sulla base di appunti abbozzati fin dal '39, Viviani sperò fino agli ultimi giorni di poterlo rappresentare.
Lo conosceva a memoria, non smetteva un attimo di studiarne e ristudiarne le battute, lo recitava ai pochi intimi calandosi di volta in volta nei personaggi di Giuseppe, Lauria, Giovanni, Saverio, Taniello e 'O ficaiuolo: quelli che avrebbe voluto interpretare se fosse riuscito a tornare in scena. Ma, lo sappiamo, don Raffaele non ci riuscì, smise di vivere il 22 marzo del 1950. E I Dieci Comandamenti, allora, sono la stessa cosa del grido disperato e amorevole che, si racconta, lui lanciò, dopo aver taciuto per dodici ore, un attimo prima di spirare: "Arapite 'a fenesta, faciteme vede' Napule!".
Infatti, I Dieci Comandamenti, ad analizzarli sotto il profilo strutturale e formale, sono un decalogo in due tempi e, appunto, dieci quadri - in pratica dieci atti unici - dedicati ciascuno a un singolo Comandamento; e moltissimo lavoro ha richiesto e continua a richiedere ai filologi il fatto che si tratti di un testo incompiuto e per giunta (ma non è certo) scritto da Viviani in collaborazione con il figlio Vittorio. Però, se spostiamo l'analisi sul versante dei contenuti, ci accorgiamo che ben altra è la sostanza su cui riflettere. Comincia il Pulcinella del prologo: "Largo e tunno; / chisto è 'o munno: / pure ll'uommene, se sa, / s'hann'a massacra'! / Che ll'afferra / ca na guerra / ogne tanto s'ha dda fa'? / Forse pe' sfulla'?!". E termina un semplice venditore ambulante, 'O ficaiuolo: "Vedimmo 'e ll'accurda' / stu cuncertino, / ca 'o popolo ha dda fa' / tantu cammino!". È Napoli che, pur segnata da mille ferite, ancora una volta canta al coraggio di vivere.
Enrico FIORE, "Il Mattino", 11 novembre 2000.