Francesco Silvestri
a cura di Vincenzo Albano
Questo mondo qua, piccerillo mio, tu non lo sai, tu non lo sai ancora, ma è pieno di colori...
F. Silvestri
a cura di Vincenzo Albano
Questo mondo qua, piccerillo mio, tu non lo sai, tu non lo sai ancora, ma è pieno di colori...
F. Silvestri
"…Nasce da una terribile solitudine che stavo provando. Vivevo con un compagno assente e quando tornavo a casa immaginavo che lui ci fosse…"
(V. ALBANO, Conversazione con Francesco Silvestri, Maggio-Settembre 2005)
Durante l'abbattimento di un fabbricato adiacente all'abitazione in cui ha scelto di segregarsi, una donna gioca con le parole, la musica e gli oggetti per debellare i silenzi, le attese e la noia, condizioni della sua solitudine. Poche le presenze, e le assenze, molte di più in verità, scandiscono la sua esistenza in questo spazio atemporale e claustrofobico, il suo mondo psicologico e l'eloquio con un "amore che non c'è più", ma della cui presenza ella stessa vuol convincersi. Solo in tal modo ella riesce a tenere in equilibrio la fitta rete di illusioni che consapevolmente ha intessuto. L'impossibilità di vivere con il proprio uomo quel rapporto d'amore che aveva sempre sognato, la spinge a creare un tessuto ludico ed inquietante di stimoli capace di sostenerla e di appagare quel bisogno di serenità a cui tanto anela.
Come un'attrice di varietà recita al "suo uomo" brani del poeta Gozzano; accende una sigaretta e la pone in un bocchino collegato ad una pompetta aspirante da lei alimentata, come se "lui" stesse fumando comodamente sulla poltrona, per poi perdersi, tra polvere e scatole di fiori appassiti, nel sogno di un viaggio a Parigi o nell'ascolto di nastri magnetici dove ha morbosamente conservato la sua voce.
La donna finge che i rumori provenienti dall'esterno siano quelli di una guerra in atto ed una delle cause del degrado in cui versa.
La guerra, che genera uno stato d'animo che impone all'uomo l'affermazione di sé come macrocosmo, viene rifiutata dalla protagonista come impegno civile e diventa un conflitto con il proprio "io", un avvenimento fastidioso a cui opporsi in nome della ricerca della felicità.
Questa "finta" guerra, vissuta come "reale", e quindi ingovernabile e tutt'altro che illusoria, minacciosa per l'equilibrio che la donna ha coscientemente creato, cala il lavoro in un clima esasperato, preludio di un "finale" epico e melodrammatico, dove l'equilibrio si frantuma nell'unico modo possibile, che è quello di imprigionare il suo stesso creatore.