Francesco Silvestri
a cura di Vincenzo Albano
Questo mondo qua, piccerillo mio, tu non lo sai, tu non lo sai ancora, ma è pieno di colori...
F. Silvestri
a cura di Vincenzo Albano
Questo mondo qua, piccerillo mio, tu non lo sai, tu non lo sai ancora, ma è pieno di colori...
F. Silvestri
La drammaturgia di Francesco Silvestri deve i suoi esiti ad un indubbio talento letterario. Le sue pièce preservano infatti un valore autonomo dalla scena, letterario appunto, e "disponibile" ad essere tradotto in spettacolo. Rispetto al piacere della sola lettura, l'allestimento e l'interpretazione dei suoi stessi lavori è un passaggio successivo, che non sottopone la parola ad una verifica; semmai, è il potenziale completamento di un "esorcismo" già consumato sulla carta, testimonianza di quanto una espressione individuale possa diventare "comunicazione". Francesco Silvestri, in questo senso, non è un autore su commissione. Anche laddove non traspare, la vita vissuta confluisce sempre in quella professionale. Lo fa con tutto ciò che ha di rappresentabile e con tutto quanto ha di "irrappresentabile", raccontato, evocato e trasfigurato da una scrittura che non pone limiti alla capacità di "meravigliarsi".
Questa cornice non è assolutamente il frutto di una scelta stilistica, ma di uno sguardo sul mondo, di un'indole primigenia ed infantile che sembra affiorare dall'universo di Cent'anni di solitudine di Garcia Márquez, da quello dei fumetti della "Marvel" o della "D.C.Comics" e di tanta cinematografia americana firmata Steven Spielberg. Un vasto e personale background, dunque, che influisce tanto strutturalmente quanto nella predilezione di elementi fantastici, rasenti la fantascienza nel caso di Effetto C.C. (Il Topolino Crick) e di Streghe da marciapiede.
Il riferimento al "fantastico", nello specifico al "favolistico", è rappresentativo di un'intera drammaturgia che proprio da essa eredita toni ed atmosfere della narrazione. Proprio come nelle favole, i vari piani, realistico e fantastico, ordinario e straordinario, concreto e visionario, giocano in uno spazio ancora incontaminato dell'anima, fondendosi in una miscela drammaturgica "al limite della rappresentabilità scenica" (tanto quanto per il rigore della struttura drammatica), che la "favola" intesa come stile di vita prima ancora che forma letteraria, rende credibile e realisticamente realizzabile. È una dimensione, questa, profondamente naturale nei ragazzi; recuperata e stimolata negli adulti.
È allora "possibile", tra oggetti animati, personaggi in volo come palloni, piume di cigno ed innesti di rose "color del cielo", la favola d'amore di Edoardo ed Antonio in Saro e la rosa; il coronamento della paternità, ma soprattutto un sentimento vissuto ininterrottamente dal 1920 fino agli anni Ottanta senza mai un calo di passione e di dialogo. È inoltre "possibile" che in Angeli all'inferno cali improvvisamente dal nulla un puttino privo di sesso, come un'apocrifa lieta novella in un deserto urbano ed esistenziale e che anche allo stesso protagonista Manuele spuntino misteriosamente ali piumate; che in Streghe da marciapiede, colpito dalle cattiverie delle quattro prostitute, si frantumi il "fragile corpo di vetro" dell'androgino protagonista. "Possibile", dunque, quanto il "volo" che Ali compie in un mondo fiabesco ed immaginario dove i desideri sono effettive possibilità di vita; quanto la delicata trappola che Sogni trasognati tende, con la sua parola muta ed affabulatissima, alla nostra memoria di sognatori e di soggetti "desideranti".
Favole, ma non sempre concilianti; favole prive di una morale edificante che nasconda la realtà; favole, infine, che la realtà stessa ce la rivelano nel suo intreccio di orrore e bellezza, crudeltà e candore. Piume e Fratellini lo sono, "anti-consolatorie"; "al limite della rappresentabilità scenica" per il valore di testimonianza e per l'intimità della vicenda.
Favole a volte brevi, "acqueforti", giusto il tempo per emozionarci, per appropriarci di esse in base alle nostre esperienze ed ai nostri sentimenti.
Favole cui concedersi, "abbandonarsi". È il privilegio più grande che ci concede la drammaturgia di Francesco Silvestri; il suo merito meno ufficiale.
Qualunque sia il grado di irrealtà presente in esse, la voglia e l'attesa provocata sono sentimenti assolutamente tangibili.
"... Credo che la scrittura sia una capacità innata…Se non c'è un elemento dissonante che metaforizzi ciò che voglio dire, non trovo lo spirito per iniziare un lavoro, non riesco a riconoscermi, è come se non m'appartenesse.
La fantascienza in sé mi interessa molto cinematograficamente, ma non credo sia possibile la sua trasposizione a teatro, non è credibile. Al contrario, la "sospensione della incredulità", cioè uno stato d'animo che ti consente di credere a tutto ciò che stai leggendo, te la può dare soltanto il fantastico, anche se rasenta la fantascienza. Se ci fossero, dunque, elementi fantascientifici da sfruttare in chiave fantastica, io li sfrutterei…"
(V. ALBANO, Conversazione con Francesco Silvestri, Maggio-Settembre 2005)