Francesco Silvestri
a cura di Vincenzo Albano
Questo mondo qua, piccerillo mio, tu non lo sai, tu non lo sai ancora, ma è pieno di colori...
F. Silvestri
a cura di Vincenzo Albano
Questo mondo qua, piccerillo mio, tu non lo sai, tu non lo sai ancora, ma è pieno di colori...
F. Silvestri
"…Nella mia poetica sono convinto ci sia l'illusione che le illusioni fanno bene e portano avanti una vita. La realtà fa male e non sempre si dovrebbe ricordare..."
(V. ALBANO, Conversazione con Francesco Silvestri, Maggio-Settembre 2005)
Nasce e si concretizza qui, tra realtà oggettiva e voglia di essere, ciò che è la "follia quotidiana" dei personaggi ovvero l'illusione, inteso come gioco di mascheramenti e di finzione. È un'umanità, dunque, che vive la sua esistenza così, con ingenuità, con innocenza, con fiducia; un'umanità per la quale la "follia" non è altro che "l'uscita di emergenza" al di là della quale può compiere un passo e sbattere la porta in faccia a tutte le cose terribili accadute. Non si può non pensare a chi, come in Piume, vede o vuol vedere la vita solo attraverso un fumetto di Batman o attraverso il nero ed il bianco dei quadratini di un cruciverba; a chi, come Edoardo ed Antonio in Saro e la rosa, percorrerà un'avventura umana con la stordita avventatezza di una "folle felicità", tra malinconie e drammi che la vita in due sembra riesca a stemperare.
È un'umanità che "sente", vuole, agisce e subisce tutto ciò che l'immaginazione e la realtà assegna al suo destino. Leggiamo, in questo senso, i "racconti lenitivi" di Gildo in Fratellini, il suo giocare col borotalco come se fosse neve e con le macchie del sarcoma di Kaposi sul corpo del fratellino, trasformate, con le matite per il trucco rubate alla madre, in tatuaggi all'ultima moda nel tentativo di esorcizzarle; o quelli che la protagonista di Mon enfant racconta alla sua stessa solitudine.
Pensiamo, ancora, alla recita quotidiana che in Angeli all'inferno Mammina, Pietro e Manuele, portano avanti per colorare d'altre tinte una "non-vita"; al tono autorassicurante con cui Antonio Cafiero, in Effetto C.C. (Il Topolino Crick), attende l'illusoria operazione che gli triplicherà il quoziente intellettivo; all'inoffensiva postazione di Mio Capitano, creata dall'illusione dei soldati che la popolano, che lì sperano di trovare riparo dalle terribili vicende del loro passato.
Prendono corpo così le "storie" di chi ha raccontato "storie" prima di tutto a se stesso ed attraverso di esse ha inseguito i propri sogni, costruito le proprie illusioni.
Storie vissute in prima persona e condivise con i suoi personaggi; comunicate attraverso di essi, ugualmente in bilico tra realtà oggettiva e realtà interiore; distanti dalla riduttiva misura del reale se non in fuga da essa e dalle sue amarezze.