Manlio Santanelli
a cura di Barbara D'Andria
Beati i senza tetto perché vedranno il cielo.
M. Santanelli
a cura di Barbara D'Andria
Beati i senza tetto perché vedranno il cielo.
M. Santanelli
Non è azzardato affermare che quando una grazia richiesta ad un Santo va oltre la "misura" del suo oggetto si traduce puntualmente in una disgrazia. Questo è valido soprattutto nel caso in cui il Santo risponda al nome di San Gennaro. Santanelli, nei due tempi della commedia Per disgrazia ricevuta, analizza l'anima popolare e pagana della plebe napoletana per mettere in evidenza il rapporto viscerale che essi hanno con questa divinità. Esiste, infatti, tra il patrono di Napoli e i suoi adoratori, una sorta di complicità, di omertà, la quale autorizza sia l'uno che gli altri a scavalcare in più di un caso lo steccato che un canonico misticismo interpone tra i due poli della fede. La quale in questo caso si configura piuttosto come una forma di arcaica ritualità, un culto pagano che finisce per inglobare tutte le manifestazioni religiose, rappresentando la follia cattolica.
Per disgrazia ricevuta comprende due atti unici e indipendenti tra loro. Ritratto paradossale e grottesco di due diverse "tifose" di San Gennaro, la commedia dà vita ad altrettante distinte situazioni, d'acchito contrastanti, ma ad un più attento esame cucite a filo doppio dalla stessa familiarità fra il celeste e il terreno. Protagonista indiscussa è la figura del Santo patrono di Napoli che nella prima situazione, vuoi a causa della veneranda età, vuoi per lo sterminato numero dei suoi postulanti, incorre in qualche "errore" nel corso del suo ministero di "graziatore". Vittime di questi clamorosi abbagli sono due devote convenute sotto il suo altare per contestargli la scarsa professionalità con cui ha esaudito i loro desideri. Lese nei loro diritti di fedelissime, le due donne, a turno, prima con garbo, poi con crescente aggressività, dichiarano di essere state rovinate dall'intervento celeste del Santo che esse avevano sollecitato in ogni maniera, dall'umile richiesta alla minacciosa pretesa. Dalla casuale vicinanza delle due donne emerge la condizione di "parentela" col proprio Santo che perde ogni carattere sacro per diventare un legame quotidiano e fraterno, non certamente esente da eccessi e pretese esasperanti.
Pertanto, la scena diventa pretesto per una liberatoria e feroce confessione indirizzata ad una statua muta di cui, però, si percepisce tutta la presenza fisica tesa a far emergere le grottesche ossessioni delle due protagoniste.
Il secondo testo, Il mio cuore nelle tue mani, pur presentando sulla scena due madri, una accanto all'altra, si sviluppa alternando due monologhi che, come due rette parallele, non si incontrano, se non all'infinito. Santanelli contrappone due fedeli devote di San Gennaro completamente diverse tra loro: una popolana e una signora di origini piccolo borghesi che, nello stesso istante, danno libero sfogo alle loro ansie materne, colloquiando con il santo patrono di Napoli con il quale, anch'esse, intrattengono un rapporto di tipo familiare. La realtà degradata di Napoli fa da sfondo alla diversa condizione sociale delle due donne che nel testo viene sottolineata dalla scelta linguistica: la signora confida al Santo le sue pene, parlando un italiano colloquiale e privo di inflessioni dialettali, mentre la popolana si esprime utilizzando il dialetto napoletano in tutte le sue sfumature più colorite, un dialetto ricco di espressioni gergali e di locuzioni triviali che evidenzia la sua bassa estrazione. Santanelli pone l'una accanto all'altra due situazioni sociali, due ragioni, due punti di vista opposti che non si incontrano né si scontreranno mai se non nel cuore di quel Santo a cui esse si rivolgono nello stesso istante e che raccoglie le loro differenti preghiere e il comune amore di madre. La situazione paradossale in cui queste madri sono state collocate consente al drammaturgo di rivelare ancora una volta le contraddizioni di una città, Napoli, che non conosce mezze misure e che conduce i suoi abitanti a scelte di vita antitetiche e fatalmente avviluppate in una rete di tragici incontri. La degradazione della città di Napoli è la degradazione dei rapporti umani che si sviluppano all'ombra del malessere e della violenza, una violenza sempre in agguato da cui bisogna imparare a difendersi. Le difficoltà ambientali e sociali che assumono contorni grotteschi nella città partenopea, conducono i giovani figli delle due donne protagoniste di questo testo a scelte di vita in cui la strada che li accoglie per motivi diversi traccerà per loro un percorso destinato ad intrecciarsi. Aurelio e Gennarino scelgono, rispettivamente, la via della giustizia e quella della delinquenza, la legge e lo scippo, il bando di concorso per arruolarsi nell'Arma dei Carabinieri e il contrabbando organizzato della cammorra. E le rispettive madri seguono con apprensione il destino di un figlio temprato dalla necessità di sopravvivere, esposto per questo a pericoli di ogni genere.
Ma che cosa deve fare un povero santo se nello stesso istante due devote gli chiedono un intervento da due punti di vista diametralmente opposti? Dubitare? Indagare su ciò che è giusto e ciò che non lo è, come farebbe un giudice istruttore? Decidere secondo un codice imperscrutabile, rischiando che una delle due donne cambi santo protettore? In fondo si tratta pur sempre di due madri che esprimono una pena sincera e che meritano una certa dose di pietà. Due madri che chiedono la protezione del santo sui loro figli e i suoi benevoli "raggi miracolosi", per trasformare i frutti di molte rinunce e degli ultimi risparmi, una pistola e un giubbotto antiproiettile, in strumenti di salvezza.
Il teatro santanelliano non cerca la verità, né offre giudizi o soluzioni sugli interrogativi che i personaggi pongono, Santanelli mette in scena l'impossibile che si concretizza nell'universo mentale dei suoi protagonisti e lascia allo spettatore, e in questo caso a San Gennaro, il compito di scegliere da quale parte porsi. La signora e la popolana sono vittime di un sistema di vita che obbliga a scelte estreme e antitetiche, pur di sopravvivere, un sistema che non concede mezze misure e che espone al pericolo e al sangue colui che decide da quale parte schierarsi. Le due frontiere della realtà, la giustizia e la delinquenza, non offrono alcun tipo di certezza ma solo "veleno" destinato a due madri devote che sperano di vedere i propri figli sistemati al più presto e si rivolgono a colui che può concedere grazie e salvezza.
Per Santanelli il teatro deve mettere a nudo l'assurdità del reale che ha le sue radici nel malessere e nel dramma esistenziale di personaggi che, attraverso il paradosso, cercano una via d'uscita al dolore, all'angoscia e al degrado in cui sono immerse. Le donne protagoniste dell'opera Per disgrazia ricevuta scelgono il soprannaturale come risoluzione ai loro problemi quotidiani e affettivi: San Gennaro diventa, quindi, la liberazione dell'irrazionale e il luogo in cui la realtà e la perdita dell'io si intrecciano inesorabilmente.