Manlio Santanelli
a cura di Barbara D'Andria
Beati i senza tetto perché vedranno il cielo.
M. Santanelli
a cura di Barbara D'Andria
Beati i senza tetto perché vedranno il cielo.
M. Santanelli
Fulcro delle commedie santanelliane è sicuramente la figura femminile: crudele dominatrice di anime ma anche vittima della propria follia o del destino contrario alla sua realizzazione. In Bellavita Carolina la figura materna si trasforma in maschera del ricatto e del delirio, del malessere sociale e religioso, del predominio femminile che avido di legami viscerali finisce con l'annullare e perdere tutto ciò che vorrebbe controllare. Con Carolina il destino non è stato molto prodigo: le ha affidato un marito titolare di pompe funebri che, per sfortuna, si chiama Bellavita. Per questo lei aborrisce quel cognome che nel quartiere è sinonimo di lutto e sogna per la figlia Giulia più che un buon marito, un diverso cognome.
Siamo nel secondo dopoguerra, l'azione si svolge in un appartamento della città di Napoli, un ambiente tipico dei nuovi ricchi. Qui Carolina condivide la condizione di uno dei quartieri di Napoli, il Rione Stella, assieme alla signora Conforti, vedova di un professore di greco e latino e direttore di uno stabilimento secondario, e la signora Cosenza, un'intrigante vicina di casa. Non sono le differenze sociali che creano le divisioni, ma le manipolazioni umilianti di Carolina. Grazie ai proventi del mercato nero, praticato da suo marito, ella ha potuto sottomettere l'intero caseggiato al suo volere. L'agiatezza finanziaria le permette di saziare gli affamati, vittime delle privazioni, nate dalla guerra. Carolina è una crudele manipolatrice, soffoca la presenza del marito, partito misteriosamente da casa, che potrebbe ostacolare la sua autorità e minacciare la realizzazione dei suoi disegni. Se tutti i personaggi che giungono in casa subiscono il ricatto alimentare della donna, Giulia, sua figlia, è l'unica che si sottrae, consumandosi in un'anoressia ribelle e muta.
Tutto ciò si svolge in un'atmosfera di religiosità malsana. Infatti, al rapporto possessivo che Carolina nutre verso Giulia, al sistema di ricatto alimentare che regge l'impalcatura di rapporti sociali, si aggiunge la fissazione di Carolina per San Gennaro. La donna nasconde, nella madia, un busto del santo a cui è tanto devota e con lui parla di continuo come se fosse uno di famiglia, facendogli fare, di tanto in tanto, delle piccole processioni per casa. Carolina si considera una parente di San Gennaro, una di quelle devote particolari, come la maggior parte dei napoletani credenti, i quali nutrono nei confronti del Patrono di Napoli una fede tanto viscerale, il cui culto sfiora l'irrazionalità e il paganesimo. Santanelli crea un'atmosfera religiosa nella quale si svolgono le scene pagane. L'appartamento di Carolina è aperto a tutti, come una chiesa, a tutte le ore del giorno. I vicini, come fedeli, circolano nel luogo sacro, mostrando rispetto e modestia, ma l'aspetto spirituale è sommerso a poco a poco dalle preoccupazioni di ordine materiale e subisce delle distorsioni. Attraverso il parroco, Don Pietro, Santanelli esprime la sua critica al culto che nasce come pagano, ma finisce con l'inglobare tutte le manifestazioni religiose, rappresentando la follia cattolica. La religione perde il suo carattere sacro. Carolina agisce nei confronti di Don Pietro in maniera calcolatrice e sprezzante, perché, in fondo, lo considera solamente un intermediario indispensabile con il vescovo, un mezzo per portare a termine il suo distorto progetto: modificare il cognome di Giulia. Tranne il prete, sono assenti tutte le figure maschili: il marito di Carolina è fuori per lavoro e la sua scomparsa si velerà, fin dall'inizio, di mistero; Donato, il figlio della signora Conforti, che Carolina vorrebbe far sposare Giulia, non compare mai, perché, stando a quanto dice sua madre, è ammalato; il Capitano, marito della signora Cosenza, passa il tempo a costruire piccoli velieri. Anche la follia di Carolina non ha nulla di trascendentale, anzi, solleva da San Gennaro ogni valenza spirituale, ogni aspetto religioso e lo avvicina alla rappresentazione dell'umano. Per Carolina il Santo rappresenta una sorta di marito ideale che compie i suoi doveri coniugali, veglia sul benessere della famiglia e la protegge dai pericoli della guerra. Carolina aspetta l'intervento capitale del Santo che permetterà a sua figlia di cambiare, finalmente, nome.
Giulia, infatti, non può continuare a portare il cognome Bellavita, essendo la figlia di San Gennaro. Carolina è convinta di essere stata posseduta dal Santo che, come in un sogno, in una calda mattina di luglio, le si corica accanto e, insieme con lei, mangia disteso sul letto. Forte di questa convinzione, Carolina considera San Gennaro, un Santo dal potere straordinario, in dovere d'intervenire, visto il suo legame di parentela, ogni volta che lei lo domanda. Nel caso che ciò non avvenisse, Carolina è pronta a scagliare contro il santo tutta la sua collera e l'insoddisfazione. Quando, finita la guerra, gli abitanti del palazzo scoprono su che cosa si reggeva quel benessere tanto ostentato da Carolina: il traffico illecito di Saverio Bellavita, il quale nelle bare non portava cadaveri, ma generi alimentari, essi si ribellano al potere della donna, ormai affrancati dalla fame.
Nella scena in cui la signora Conforti cerca di resistere all'autorità e alla tirannia di Carolina, quest'ultima non può far altro che prendersela con il santo, scaraventando su di lui tutta la sua rabbia. La consapevolezza della perdita del controllo sul suo ambiente si accompagna alla moltiplicazione dei suoi ricatti che vengono, però, derisi dai vicini ormai liberi dalle catene alimentari. Quest'ultima scena non può che segnare il fallimento definitivo di Carolina, ma fallimento non significa ritorno alla ragione. Carolina persiste nella sua convinzione: vuole fare analizzare il sangue di Giulia per dimostrare la sua parentela con il Santo. Nel momento in cui la figlia confessa la decisione di andarsene da casa per liberarsi da quel legame malato che la madre ha voluto stringere e ricostruire un rapporto con il padre rinchiuso dietro le sbarre di una prigione, anche lui vittima delle follie della moglie, Carolina, nell'ultimo tentativo di trattenere la figlia, le grida la sua folle verità: "Tuo padre sta qua". Comincia, così, la ricerca della camicia da notte macchiata di sangue, la prova inconfutabile; Carolina apre, uno dopo l'altro, i cassetti, rovescia tutto ciò che trova lungo il passaggio, dice frasi sproporzionate e irrazionali e per di più scende negli abissi della follia e si accosta con furore al Santo che, alla fine, scaraventa a terra. Nell'ultima didascalia, di fronte al santo decaduto, Carolina è in ginocchio mentre vede Giulia che le appare come una santa, "là sulla soglia di casa, in quella luce d'altare", prendendo il posto di San Gennaro nell'universo sregolato di sua madre.