unisa ITA  unisa ENG


Autori - Annibale Ruccello

Annibale Ruccello

a cura di Carmela Lucia

 

E po’ co sta lengua toscana avite frusciato lo tafanario a miezo munno! Vale cchiù na parola Napoletana chiantuta ca tutte li vocabole de la Crusca!

A. Ruccello, Ferdinando

I personaggi

Le figure di emarginati appaiono quasi tutte come incatenate e inchiodate in un perverso meccanismo di esclusione (e spesso auto-emarginazione): sono figure di “ultimi” e “umili”, alla ricerca di un residuale contatto umano, magari attraverso il telefono come Jennifer, chiusa in un’autistica e insensata attesa, che ricorda la particolare bêtise degli strani e selenitici personaggi “in attesa di Godot” di Beckett.
Le protagoniste, in particolare le donne, sono in preda spesso ai rimorsi, ai sensi di colpa, ai deliri di una follia che non è sempre così facilmente percepibile all’esterno. Quasi tutti i personaggi sono costruiti con una tecnica di fedele trascrizione delle loro ossessioni personali: i loro caratteri sono resi sulla pagina attraverso uno scandaglio e un dialogo che diventa spesso “confessione”. Non di rado queste donne mostrano una notevole forza caratteriale ed emotiva, mentre, al contrario, le figure maschili appaiono piuttosto sclerotizzate in ruoli di potere, cristallizzate ormai in puri involucri di apparenza, nel ruolo di mariti o amanti infedeli. Sia detto per inciso che lo stesso Ruccello non smentisce questa sua predilezione, confermando di fatto che: “teatralmente lo stimolano di più i personaggi femminili” (Cfr. R. di Giammarco, Non chiamatemi autore, sono un “allestitore” e un ex antropologo, “la Repubblica”, 27 marzo 1984). Tutte le figure femminili, infatti, sono sempre in piena luce nelle opere di Ruccello, mentre gli uomini appaiono quasi sempre in secondo piano, soprattutto cristallizzati nella funzione di testimoni di ricordi e di auto-confessioni.
Per questo va detto che raramente a teatro è stato così dirompente e incisivo il rilievo concesso al personaggio femminile, che diventa, in tutte le commedie dell’autore stabiese, il fuoco principale dell’azione e l’angolo prospettico, il punto di vista privilegiato da cui è filtrata la storia. Da Jennifer a Clotilde, fino alle mamme degli ultimi monologhi, passando anche per i personaggi secondari - si pensi al ruolo di Gesualda in Ferdinando - le donne del teatro di Ruccello sono tutte chiuse in un destino prevedibile, codificato, schiave della famiglia (tranne che nel caso di Jennifer), o prigioniere del ruolo assegnato loro dall’esterno, confinate in un ghetto e sradicate, spesso in preda a turbe ossessive, conseguenza estrema di rapporti morbosi e anaffettivi. Divorate dall’angoscia dell’esistenza, un’esistenza malata, asfittica, priva di redenzione e di salvezza, trovano rifugio nella lettura di “Sorrisi e canzoni”, nella radio, nella televisione e nella borsa con i ferri per lavorare a maglia, piccoli rimedi per attenuare lo spleen e la depressione che le attanaglia, spinta fino al limite dell’incubo. Significativo è quanto afferma Matteo Palumbo in riferimento a questo tema: ”Di fatto, immancabilmente, i personaggi del teatro di Ruccello sono in ostaggio di forze che li dominano. Essi sono simili a un territorio occupato, che è stato spogliato della sua ricchezza e cancellato. L’esercito nemico, responsabile di questa di questa aggressione, è composto dalla società di massa: con il suo linguaggio miserabile e caricaturale, con la prepotenza dei miti televisivi, con il falso prestigio dei suoi oggetti di consumo, con la simulazione della felicità. Il paese occupato, la vittima più martoriata, è l’anima e l’immaginazione di questa umanità”. (Cfr. M. Palumbo, Le “piccole tragedie minimali” di Annibale Ruccello, “Nord e Sud”, cit., p. 116).