Annibale Ruccello
a cura di Carmela Lucia
E po’ co sta lengua toscana avite frusciato lo tafanario a miezo munno! Vale cchiù na parola Napoletana chiantuta ca tutte li vocabole de la Crusca!
A. Ruccello, Ferdinando
a cura di Carmela Lucia
E po’ co sta lengua toscana avite frusciato lo tafanario a miezo munno! Vale cchiù na parola Napoletana chiantuta ca tutte li vocabole de la Crusca!
A. Ruccello, Ferdinando
La musica è un elemento complementare e non affatto ancillare della drammaturgia di Ruccello. L’elemento musicale non si riduce a un semplice accompagnamento, né diventa un fatto accessorio, ma preesiste al processo creativo del testo stesso, nasce con la scrittura, saturandosi con essa in una perfetta osmosi. Sin dall’Osteria del melograno la scelta dell’elemento musicale si configura come una cifra costante della drammaturgia di Ruccello, che, con estrema cura, sceglie di realizzare il testo con l’accompagnamento dell’orchestra, dando così maggiore impatto emotivo alla messinscena. Anche per la Cantata prevede la presenza di un pur esiguo gruppo orchestrale “in buca” e, analogamente, per L’asino d’oro crea una originale commistione di polifonie stranianti e invocazioni sacre con la melodia del tema di Amore e Psiche. L’Ereditiera, che si configura strutturalmente come un musical da camera, presenta una curiosa pastiche tra la canzone melodica napoletana e gli stilemi della cultura holliwoodiana: in questa scrittura di tipo corale, sotto forma di parodia si contaminano la voce del mandolino con le musiche di Via col Vento, le canzoni napoletane e della tradizione urbana e contadina con My fair Lady.
Con Le cinque rose di Jennifer la musica si identifica soprattutto con un livello simbolico con cui leggere e disambiguare due volte il suo testo: la musica di repertorio – diffusa come un costante “rumore di fondo” dalla Radio privata, che accompagna le elucubrazioni del travestito – è soprattutto una musica “al femminile”, una musica mélo che si associa ai suoi stati d’animo e alla sua natura e a cui si aggancia la “memoria” involontaria (quella proustiana). Con un repertorio piuttosto circoscritto – da Vanoni a Patty Pravo, da Mina a Battisti a Milva e Romina Power – la musica in questo caso non fa da semplice sottofondo, ma diventa piuttosto un’altra azione, che integra i gesti della protagonista, li sottolinea, li esaspera, fino alla deflagrazione finale che farà esplodere i fantasmi della mente di Jennifer fino a quel momento allontanati e trattenuti a fatica. Lo stesso disagio esistenziale lo ritroveremo con la figura di Ida, protagonista di Week-end: Mozart, simbolo della sua “cultura” appresa e secondaria non rispecchia il suo côtè di appartenenza, che invece si rivela sulla scena solo con il cunto della favola della “signora cu lo zampone”, fiaba che diventa memoria e segno indelebile di una cultura orale e bassa, che emerge quando esplode la catastrofe finale.
Le scelte musicali, consapevoli e pensate, sono a tal punto compenetrate nel tessuto della drammaturgia di Ruccello che ve ne rimane traccia anche nelle note di regia, come è evidente in questo importante estratto del programma di sala realizzato in occasione della prima edizione dello spettacolo Ferdinando:
”[…] alcune notazioni sulla realizzazione dello spettacolo a partire dalla musiche, che costituiscono quasi una sorta di sottosteso all’intera azione. Infatti la colonna sonora non è stata pensata in termini di mero accompagnamento all’azione bensì di composizione a livello melodrammatico di tutte le tematiche del testo. In tal senso è stato scelto un motivo unico conduttore formato dal concentrarsi di quattro temi portanti. Ogni tema ha la sua voce ed il suo strumento, che sono la voce e lo strumento stesso del personaggio che evocano. E così Ferdinando è un tenore e clarinetto, Donna Clotilde è un soprano e un flauto, Donna Gesualda un contralto e una viola e don Catello un basso e un violoncello. Abbiamo così voluto evidenziare la natura musicale dell’intera operazione concepita anche come dramma di linguaggi, di parole, pensate come un partitura musicale” (cfr. A. Ruccello, Ferdinando, “Sipario”, marzo-aprile 1987, 466, pp. 81-98).
Come sottolinea Carlo de Nonno, in un saggio molto importante in cui si dà prova dell’acuta sensibilità e preparazione musicale dell’autore stabiese (“Se cantar mi fai d’amore”: la musica originale nel teatro di Annibale Ruccello, pp. 59-74 in Annibale Ruccello e il teatro nel secondo Novecento, a cura di P. Sabbatino, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2009; la citazione è a p. 72) Ruccello dedicava la stessa attenzione alla ricerca e alla sperimentazione musicale che destinava alla scelta delle parole e alla composizione degli intrecci.
Come nell’Ereditiera, in cui sperimenta le interrelazioni tra parlato e musica, anche con Ferdinando Ruccello si mostra sensibile e aperto alla possibilità di mescidare polifonicamente le voci, e ciò per evidenziare la simbiosi di mondi in disfacimento, dai forti echi pasoliniani, simboli di voci e di valori ormai logori e consunti, in disfacimento per l’avanzare di un mondo nuovo che di lì a poco li avrebbe obliterati. Come ben osserva de Nonno (ivi, p. 72) infine per questo:
”ne risulta un concertato turgido e impervio, assolutamente non consolatorio, nel quale l’intreccio vocale dei testi riprende (ricordiamo la definizione di ‘sottotesto’ data dallo stesso Ruccello alla musica di Ferdinando) la congerie sentimentale della parola drammatica e lo scontro di mondi forse ormai inconciliabili tra i quali, però, resta possibile, in qualche modo, ‘l’ammore’ ”.