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Enzo Moscato

a cura di Isabella Selmin


Nessuna parola già detta andrebbe abbandonata mai, in teatro.

E. Moscato

 

Moscato. La vita è "Recidiva"

Il drammaturgo, attore e cantante napoletano parla del suo bisogno di rimescolare dieci anni di teatro.

È un momento, di estrema frammentazione, forse di confusione, confessa Enzo Moscato. Da qualche tempo l'attore e autore va riproponendo in giro un ampio repertorio. Spettacoli che si estendono nell'arco di dieci anni, da Compleanno al recente Ritornanti, che pure rilegge con voce diversa testi scritti in anni più lontani. "Non c'è bisogno di creare sempre, per fare ricerca si può anche attraversare il vecchio con un altro passo, con un altro battito di cuore, con un'altra occhiata", aggiunge Moscato.
Quasi per una necessità di avere davanti tutti i momenti attraversati senza tenerli separati - mentre intanto affronta la nuova avventura di Recidiva, il bellissimo spettacolo dedicato a Copi presentato a Venezia e Santarcangelo e domenica e lunedì a Palermo alla Biblioteca comunale (ore 21.30) nell'ambito della rassegna "palermo di scena"

Tutti questi lavori appartengono a momenti diversi?
Sono posti cronologicamente in anni diversi, però siccome li porto sempre appresso, come uno che fa dieci valige, i materiali si sono mescolati. Mi succede, per esempio, che mi viene una battuta in testa e chiedo di quale spettacolo è. C'è proprio un girotondo, una sarabanda di cose, perché questi diversi momenti della mia vita sentono il bisogno di mescolarsi. Poi se restiamo al campo strettamente teatrale, all'espressività, io non so mai se sono in un momento più evolutivo o involutivo, faccio quello che sento anche imponendomi una dose di faccia tosta, strafregandomene un po' di quelli che vogliono leggere dove sei collocato. Da questo punto di vista credo di essere molto libero, faccio parlare queste assemblee di me, questi molteplici Enzo che ci sono dentro e forse il problema è dargli un punto d'incontro.

Però nel tuo teatro c'è stata un'evoluzione linguistica in questi quindici anni.
Penso di sì, devi sempre un po' spingere avanti e poi tirare indietro, altrimenti tu non segui più te stesso, ma sicuramente il pubblico non segue più te. Per esempio nel concerto di Embargos ho estrapolato consapevolmente i brani più contaminati, perché evidentemente è un momento di riflessione sul classico, sull'evergreen fatto con i musicisti. Io sento che l'evoluzione deve essere sempre controllata. Fuga per comiche lingue sono convinto che è piaciuto come magma, come caos di segni, però certamente l'elemento comprensivo linguistico è molto arrischiato, molto più di Compleanno.

Che rapporto hai con la tradizione musicale, è un trompe-l'oeil anche questo come il napoletano ricalcato su Basile di Fuga?
Nella musica sono più ubbidiente che non nel teatro, anche perché probabilmente non faccio il cantante di professione e allora è come se mi mettessi in una condizione di molta più umiltà, come col cinema.

In Embargos canti Bammenella di Viviani, che nel disco non c'era...
Ne ho sentito prepotente il bisogno, perché Viviani è uno dei miei amori, soprattutto musicalmente. Mi piace moltissimo anche Viviani drammaturgo, ho fatto anche delle cose sue all'inizio della mia carriera, come attore però non ho mai affrontato un suo testo, perché c'è tanto Viviani in giro e poi secondo me è uno spirito trasgressivo, bisognerebbe fare delle operazioni che strappano la pelle. Però Bammenella è talmente... per me che sono nato sui vicoli, queste cose non le ho immaginate... Viviani mi è molto vicino non tanto come drammaturgo, ma come essere umano.

Come è nato l'incontro con Copi in Recidiva?
Mi è sempre piaciuto molto Copi, dal punto di vista della pagina, curatissima, di una grande ricerca, oltre ad affascinarmi la sua ironia sulla scena, il suo stracciarsi come autore. Prepararsi fino alla perfezione poi in scena, imbrattarsi, sporcarsi, divorarsi. Io l'ho visto una volta sola, in un'edizione delle Serve dove faceva Madame ed era indescrivibile. Mi sono pensato dentro questa situazione, quasi un gioco di specchi. Mi piaceva molto una frase che avevo estrapolato da un'intervista a un giornalista francese dove diceva: io scelgo gli attori che mi assomigliano, scrivo i gesti così come penso che vengano fatti in scena, sono un pessimo attore ma fedele all'autore. E io pensai che questa cosa mi somigliava molto, questa ubbidienza a se stessi come se fosse un altro - io la trovo profondamente seria ma contemporaneamente profondamente comica anche perché se la porti alle estreme conseguenze ti trovi a recitare un estraneo, le parole che ti escono di bocca sono le parole di un altro.
Questo rapporto di estraneità io l'ho vissuto con Rasoi. Recidiva invece l'ho riportata consapevolmente a questo gioco speculare con l'altro. Nell'89 avevo raccolto questi materiali, ci avevo lavorato su, in particolare mi faceva impazzire Il ballo delle Checche, e poi anche Loretta Strong, Eva Peron, Le frigo soprattutto.
Dovevo debuttare a Palermo, ma non se ne fece più niente. Sono passati degli anni, questi materiali li ho un po' trasformati ma rimane il gioco dell'autore che c'è e non c'è, si recita Copi e contemporaneamente si recita Moscato. O l'autore si nega alla propria scrittura e tace, o sono le parole di altri rimasticate.
Mi piaceva molto il gioco del Ballo delle Checche, di questo libro di memoria che lui doveva ma non riusciva mai a scrivere, insomma di questo essere inseguito e cercare di nascondersi sempre, di negarsi agli altri.
In qualche maniera mi sembra poi la mia vita, questo non vivere o vivere solo degli altri che diventa una situazione comica. Quel che è straordinario di Copi è anche questo suo continuo superare il limite. L'omosessuale o la difficoltà di esprimersi è davvero allucinante, non riesci a seguire le continue mutazioni di battute di sessualità, di gestualità dei personaggi. Io vorrei cercare di provare questa cosa, vorrei che fosse capito che sono una persona che vuole soprattutto scherzare, giocare.

Gianni MANZELLA, "Il Manifesto", 22 luglio 1995.