Enzo Moscato
a cura di Isabella Selmin
Nessuna parola già detta andrebbe abbandonata mai, in teatro.
E. Moscato
a cura di Isabella Selmin
Nessuna parola già detta andrebbe abbandonata mai, in teatro.
E. Moscato
La drammaturgia napoletana è, da qualche anno, la più singolare fucina di ingegni teatrali. Sono quasi tutti nel segno dell'era post-eduardiana e, in un certo senso, ne rappresentano, se non la continuità, gli sviluppi. Il compianto Annibale Ruccello (Cinque rose di Jennifer), Manlio Santanelli (Uscita d'emergenza) ed Enzo Moscato (Occhi gettati) sono le punte di diamante di questa "nuova drammaturgia", che si stacca dal filone pulcinellesco, per imboccare la strada della commedia realistica, ora tragica ora farsesca, il più delle volte dotta e ricercata nel linguaggio con certosine ricerche di arcaiche espressioni idiomatiche.
Nei nuovi autori il recupero della dignità dialettale è totale, senza concessioni, senza sudditanze, senza sruffiananti genuflessioni all'italico matriarcato linguistico. In altre parole si guardano bene e non si sognano nemmeno di italianizzare quelle fonematiche esplosioni vesuviane, ricche di musicalità, ma assolutamente incomprensibili per chi ha poca confidenza col napoletano. Nella dignità del loro legittimo orgoglio linguistico, si pongono con spavalda arroganza, come dire: o prendere o lasciare.
Così lo spettacolo di Enzo Moscato, visto ieri sera al Salone Pier Lombardo, Festa al celeste e nubile santuario, non si pone troppi problemi di comprensibilità linguistica, confidando (non a torto) sulla complicità gestuale ed espressiva di Isa Danieli, Angela Pagano e Fulvia Carotenuto.
Interpretano tre sorelle, impastate di sesso inappagato e di feticistico misticismo. Vivono in un angusto basso napoletano, in un'amalgamata congerie di oggetti domestici e di chiacchiericci donneschi, tra taglienti pettegolezzi e spicciole professioni di fede, dal culto della Madonna all'esaltazione della verginità.
Ma ecco che si mettono in moto ingranaggi imprevedibili. La muta Maria, dopo un mestruo celeste, si scopre incinta. L'autoritaria e scettica Elisabetta perde la vista. È il trionfo della bigotta Annina, che, nel prodigio di Maria, vede il segno di miracolose predestinazioni. Avverranno, ma alla maniera d'un Hitchcock alla napoletana. Che ovviamente non sveleremo.
Con la regia di Armando Pugliese, le tre femmine conquistano, con le arti ammalianti d'una espressività tutta partenopea: il gesto, la mimica, le serrate coloriture linguistiche. Compositi pezzi di virtuosistiche bravure, che suppliscono anche là, dove, di fronte alle difficoltà dialettali, non si può far altro che cedere alla bellezza dei suoni.
Applausi scroscianti e molte ghignate a scena aperta. Si replica.
P. A. PAGANINI, "La notte", 15 marzo 1989.