Enzo Moscato
a cura di Isabella Selmin
Nessuna parola già detta andrebbe abbandonata mai, in teatro.
E. Moscato
a cura di Isabella Selmin
Nessuna parola già detta andrebbe abbandonata mai, in teatro.
E. Moscato
L'autore-protagonista ha accanto Amletino, vestito esattamente come lui.
In scena una stralunata lezione accademica e un burlesco rituale parareligioso.
Napoli - A uno dei soliti questionari rivolti agli esponenti più in vista dell'avanguardia teatrale, Enzo Moscato rispose tempo fa prendendo in giro le domande con un linguaggio metaforico: "La Signora Ricerca in Italia non è morta... Tossicchiava, era febbricitante... Domandate piuttosto a quella zitellona acida di Sperimentazione. . ." Il testo completo dell'intervento del poeta e uomo di spettacolo napoletano si può leggere nell'edizione 1992 del Patalogo utile inventario dell'annata teatrale. Ma il seme di quella provocazione aveva messo radici, e ora sboccia in un estroso monologo intitolato La psychose paranoiaque parmi les artistes (con allusione a un famoso saggio di Lacan) e proposto all'ascolto nella sala Galleria Toledo fino al 4 Aprile.
Qui Moscato stesso compare vestito da Pierrot, in nero e bianco, con accanto un bambino piccolissimo abbigliato esattamente come lui.
La scena ha sullo sfondo una specie di altare di legno sormontato da una lavagna e con ai piedi dei ceri in attesa di essere accesi.
Nella parte inferiore dell'altare c'è una grata, dietro alla quale in certi momenti brulicano come delle rossovestite anime del purgatorio. Davanti a sinistra abbiamo una gabbietta contenente un gatto bianco, che miagola a sipario abbassato ma poi tace; e a destra, una bancarella da venditore di cozze, con barattoli di vetro contenenti teste di bambole sotto liquido e qualche attrezzo di farmacia.
In tal contesto parlando a raffica con la sua vocetta insinuante Moscato pronuncia una stralunata lezione accademica, ovvero officia un burlesco rituale parareligioso, ovvero traffica in operazioni grottescamente alchemiche, interrompendosi soltanto quando folate di musica di canzonette partenopee e simili gli fanno perdere il filo. Come si evince infatti (ma io ho avuto il grosso aiuto di una scorsa al testo dattiloscritto) il suo Dottor Cathesius - il personaggio allude a un precedente lavoro dello stesso Moscato - impegnato in successivi tentativi per rivitalizzare la predetta signora Ricerca, ora Madame La Recherche, viene disturbato dai contrattacchi proditori della sottocultura banaloide e del Kitsch. All'inizio costui tenta di esorcizzare con una sorta di litania, fra gli altri, le oggi sicuramente inoffensive Liala e Carolina Invernizio; ma il pericolo è sempre in agguato.
I 55' del soliloquio nonché delle operazioni coadiuvate dal piccolo apprenti sorcier che viene chiamato Amletino consistono sostanzialmente in una filastrocca di nonsense pseudoculturale costellata di parole straniere e nomi celebri - Boole, Dostoievski, Wittgenstein, Rimbaud, Spinosa, Pascal - ora sparpagliati ora snocciolati in elenchi mozzafiato - "Kretschmer, Cramer, Janet, Kraft-Ebing, Bleuler, Charcot. . ." È un caos orchestrato con maliziosa metodologia.
Come dice Hmpty Dumpty ad Alice parafrasando un proverbio inglese, tu bada ai suoni e vedrai che il senso baderà a se stesso. Moscato come scrittore è un grande organizzatore di suoni, e così anche seguire il filo logico delle sue tirate è quasi impossibile, l'orecchio ne è catturato, e gli effetti anche comici si producono a ripetizione.
Inoltre non meno di quando capita di ascoltare mettiamo Pollini che suona a memoria Stockhausen o un altro compositore moderno dalla sua capacità di orientarsi dentro questo materiale apparentemente tanto capriccioso.
Non spiacevole risultato, dunque: ma serata, temo, per iniziati, anche se come capita coi surrealisti non è detto che a ogni sillaba del dettato corrisponda la volontà di alludere a qualcosa di preciso. Spesso Moscato gioca per il gusto di giocare; ed è questa fondamentale disponibilità allo scherzo che dando cordialità all'operazione ne smussa l'aspetto più arduo, e incoraggia gli applausi che la concludono.
MASOLINO d'AMICO, "La Stampa", 25 marzo 1993.