Enzo Moscato
a cura di Isabella Selmin
Nessuna parola già detta andrebbe abbandonata mai, in teatro.
E. Moscato
a cura di Isabella Selmin
Nessuna parola già detta andrebbe abbandonata mai, in teatro.
E. Moscato
La Biennale di Venezia si è chiusa nel segno della nuova scena napoletana, a conferma del filo rosso che lega le due capitali del teatro italiano. Non è un caso che gli ultimi due spettacoli presentati nella rassegna portino la firma di Enzo Moscato e Antonio Latella. Il primo autore di un divertente e icastico Le doglianze degli attori a maschera e il secondo di un Pericle shakespeariano come sempre intriso di straordinaria fisicità e di spiazzanti contaminazioni linguistiche e sonore. Le doglianze moscatiane, riscrittura del Molière di Goldoni del 1751, si apre in un contesto oscuro e sacrale con un giovane officiante che va ripetendo: "Tu gli hai tolto 'a maschera e tu ce li ha rimettere, Carlino! Allora sarà festa..., lutto..., grandi". E in queste parole, riprese anche in chiusura, c'è il senso del tradimento (nel senso del trans-ducere) di Moscato che incalza l'autore della riforma dalla prospettiva napoletana di chi, privato dell'identità guittesca e farsaiola, ne chiede in qualche modo un risarcimento. E tutta la lettura del Molière, che recupera la diceria sul commediografo incestuoso sposo di Guerrina (Valentina Capone), figlia dell'amante Bejart (una vigorosa Cristina Donadio), gioca dinamiche metateatrali, in cui pur incrociandosi dialetti (veneziano, lombardo, bolognese, ciociaro, francese e così via) e le atmosfere (segnate dalle canzoni di Nada, Modugno e Peppino Di Capri), prevale il disincanto partenopeo, che si interroga sulla morte della commedia stessa.
Stefano DE STEFANO, "Corriere del Mezzogiorno", 1 agosto 2007.