Enzo Moscato
a cura di Isabella Selmin
Nessuna parola già detta andrebbe abbandonata mai, in teatro.
E. Moscato
a cura di Isabella Selmin
Nessuna parola già detta andrebbe abbandonata mai, in teatro.
E. Moscato
Napoli - L'universo visionario di Enzo Moscato nello spettacolo Lingua, carne, soffio in scena alla Galleria Toledo fino a domenica 11 marzo, rende omaggio ad Antonin Artaud, l'artista marsigliese che nell'arte sentì la necessità di una forma espressiva totale nella quale ricomporre la disgregazione del proprio essere.
Sotto i colpi di rimandi di complesse metafore si chiude un mondo vibrante di lucida follia. I toni accesi e visionari di Artaud si traducono in lirismo che si combina ad una tradizione più nostrana.
È la vita a essere rappresentata attraverso il teatro, con la creazione di un linguaggio poetico e metafisico in cui il corpo dell'attore-officiante diventa geroglifico vivente che restituisce senso alla realtà.
È il teatro che si appropria di una funzione terapeutica di catarsi ad essere rappresentato. "L'azione del teatro, come quella della peste, è benefica, perché spingendo gli uomini a vedersi quali sono fa cadere le maschere, mette a nudo la menzogna, la rilassatezza, la bassezza e l'ipocrisia" scriveva Artaud nel suo saggio Il teatro e la peste.
Così in una scenografia essenziale, fatta di corpi e di cenci, si ricrea uno scenario da manicomio, ed a sfilare è una spettacolare e grottesca esposizione di corpi, di appestati, testimoni di un male che si manifesta in tutti i luoghi dello spazio fisico, "dove la volontà umana, la coscienza e il pensiero sono presenti e in grado di manifestarsi".
Un gioco scenico fondato sulla duplice valenza dei significati, e di suggestivo e forte impatto visivo, con la scelta del bianco come unico dolore dominante. Il colore della purezza e della peste. Ma è anche la morte della purezza ad essere celebrata, con il lancio dei confetti, che la tradizione napoletana vuole avvenga durante i funerali dei bambini.
Giusi ZIPPO, "Cronache di Napoli", 3 marzo 2001.