Enzo Moscato
a cura di Isabella Selmin
Nessuna parola già detta andrebbe abbandonata mai, in teatro.
E. Moscato
a cura di Isabella Selmin
Nessuna parola già detta andrebbe abbandonata mai, in teatro.
E. Moscato
Napoli. Come attualizzare Antonin Artaud nel teatro del terzo millennio senza cadere in banali e scontate celebrazioni, o meglio - intendendo il concetto di attualità nella direzione di Nietzsche - come si può diagnosticare un divenire artaudiano in un ipotetico "teatro della peste" odierno?
La risposta, o almeno una tra le possibili, ce la dà Enzo Moscato con la messinscena di Lingua, carne, soffio, lo spettacolo che è in scena alla Galleria Toledo fino a domenica.
"Il peso e la presenza di Antonin Artaud nel mio atteggiamento spirituale e pratico verso il teatro - spiega Moscato - sono dentro gli occhi e le orecchie di chiunque abbia potuto essere presente a un mio spettacolo. Ossia verifica in carne, sangue, umori, tremori, di ciò che penso debba essere la scrittura: sabbia mobile su cui scrivere di continuo cancellate".
Artaud presagì quanto sarebbe diventato complesso, se non impossibile, esprimere un'emozione vitale, in un mondo sempre più mediato, sempre più inautentico. Allora, negli anni Trenta, la sua insofferenza aveva come bersaglio le sovrastrutture della Letteratura e del Dramma borghese saturi di psicologismi. Il teatro che egli cercava tendeva a radicalizzare proprio la contraddizione profonda tra fisicità e sovrastrutture psichiche e culturali. Oggi nell'era del virtuale, all'ultimo stadio della comunicazione mass-mediatica, il corpo appare un estremo luogo dello scontro tra vita e finzioni.
Mai come adesso l'attore, preso dall'evento della scena, non è che un segno, un materiale come gli altri, è un geroglifico vivente. E, se da un lato, la recitazione dell'attore è determinata da "una Vita superiore imposta", sottomessa a una "prodigiosa matematica", dall'altro, il teatro deve nascere direttamente dallo spazio scenico e inventare un linguaggio in grado di spezzare ogni convenzione. Sulla base di questo assunto prende il via l'esplorazione di Moscato nell'universo di Artaud. Esplorazione sostenuta da un utilizzo della lingua, organica e primordiale, in grado di scatenare e cogliere la potenza dell'inconscio, di dare voce e segno alla fisicità muta dell'essere. Definito come "Tragitto-epidemia per Antonin Artaud", questo spettacolo, di cui Moscato è autore, regista ed interprete, vedrà impegnato un nutrito numero di artisti: Tata Barbalato (anche ideatore della scenografia e dei costumi), Gino Grossi, Carlo Guitto, Ciro Moscato, Salvio Moscato, Giuseppe Scovito, oltre a Francesco, Peppe e Gianki Moscato, e Giuseppe Affinito Jr.
F. URBANO, "Roma", 7 marzo 2001.