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Enzo Moscato - Articoli scelti

Enzo Moscato

a cura di Isabella Selmin


Nessuna parola già detta andrebbe abbandonata mai, in teatro.

E. Moscato

 

Il cinema della mia infanzia

Enzo Moscato racconta Hotel de l'Univers, che debutta domani al Mercadante di Napoli. Un recital tra canzoni, musica dei film, divi e miti degli anni '50 e '60, "Lo spettacolo è un omaggio alla mia educazione sentimentale. Non ci sono immagini perché si raccontano le colonne sonore, e le associazioni che ogni spettatore si fa nella testa".

Racconta Enzo Moscato che a Hotel de l'Univers lui e Pasquale Scialò ci pensavano da parecchio. Dai tempi di Cantà (1999), e anzi è stato proprio Scialò che qui firma progetto musicale, musiche originali e rielaborazioni a chiedergli se aveva voglia di riscrivere alcune canzoni del cinema. "Mi ha detto: ce ne sono di bellissime che poi tradotte perdono tutto il loro fascino. Perché non li fai tu i testi su alcune grandi musiche?". Rècit-chantant dedicato allo spirito d'a musica del cinema dice il sottotitolo di Hotel de l'Univers, che debutta domani al Mercadante di Napoli. E che il cinema entri nel teatro di Moscato è naturale, come del resto musica e canzoni nei suoi "poetici-canzonieri" come li chiama - oltre Cantà ricordiamo l'incanto struggente di Embargos - in quel dialetto che è poesia intima e personalissima. Perché il suo teatro per natura esclude i limiti, mescola, fonde, sposta seguendo progressioni e disegni di un'irrequietezza nervosa e raffinata. Moscato lo chiama "il confine che non c'è" laddove, dice, vuole attirare lo spettatore. Ecco allora che citazioni coltissime e preziose, canzonette e immagini popolari, frammenti di filosofia, ricette di umana saggezza, sussulti del cuore e della passione si intrecciano nei suoi percorsi visceralmente per dare al pubblico un piacere che lo catturi, lo seduca, lo renda partecipe con leggerezza e intensità. E sembra questa anche un po' la linea su cui si muove la prima stagione del Mercadante-Teatro Stabile (direzione Ninni Cutaia) che per inaugurare ha scelto - e non casualmente - Hotel de l'Univers e l'Agamennone di Rodrigo Garcia (9-10-11 alle Officine Meccaniche dell'ex-Italsider di Bagnoli), rilettura new global di Eschilo in data unica italiana dopo il debutto lo scorso settembre alle Orestiadi di Gibellina (che lo producono insieme allo stesso Mercadante e alla Carneceria Teatro del regista nato a Buenos Aires ma che lavora a Madrid). Due autori senza dubbio diversi, Garcia e Moscato, ma con in comune la cifra spericolata e irriverente della contemporaneità. Il cinema si diceva. Che Hotel de l'Univers (di cui è previsto il cd) mette insieme canzoni e miti dello schermo, gli anni Sessanta e Cinquanta dei film che Moscato guardava da ragazzino anche se in scena non si vedrà una sola immagine. Fellini, Anna Magnani, Marilyn, Pasolini, Chaplin ma anche Tennessee Williams, Mina a la sua Eclisse twist scivolano nelle note di Rota, Rustichelli, Riz Ortolani fino a Piovani. Musica e altre suggestioni. La città ad esempio, Napoli e le sue storie come La mensa dei bambini proletari di Montesanto che negli anni Settanta - ci dice la canzone (di Moscato e Scialò) "certo , non era il pane e tantomeno il vino, ma un film americano dev'o' sprint `e se sòsere `a matina ... A scuola? E chi ci andava! `A sala Pidocchietto ce attirava". Racconta Moscato: "la drammaturgia è un poutpourri, ci sono stralci autobiografici, riflessioni di metacinema, ricordi di infanzia, è come se fosse il mio zibaldone, un caos di appunti e cose. La mensa Montesanto è un'esperienza che risale alla fine degli anni '60, quando un gruppo di intellettuali, tra cui Goffredo Fofi e Geppino Fiorenza, sono arrivati nel cuore dei Quartieri Spagnoli per occuparsi dei bambini. Che non significava solo dargli da mangiare ma educarli e questo avveniva anche attraverso i film. De Sica, Rossellini, Visconti, è stata una cosa bellissima, dimenticata nel tempo, che volevo ricordare".
In Hotel de l'Univers ritroviamo i compagni abituali dell'artista, Tata Barbalato che firma scena e costumi, le luci di Cesare Accetta, sul palco con Moscato ci sono Cristina Donadio, Vincenza Modica, Carlo Guitto, i bambini Costanza Cutaia e Giuseppe Affinito jr. "Sono la fascia anarchica dello spettacolo, la loro è una presenza molto stimolante e creativa. Li ho voluti nella scena finale dove ballano un valzer da bimbi che però richiama quello meraviglioso tra Marilyn Monroe e Laurence Olivier in Il principe e la ballerina" dice Moscato. Ecco, di nuovo i film. Racconta ancora: "per me l'educazione cinematografica è arrivata molto prima del teatro che ho scoperto intorno ai venticinque anni. Il cinema invece è un mondo dell'infanzia. Sono nato nei quartieri spagnoli dove è rimasta la mia anima e dove vivono in molti della mia famiglia. Da bambino, a cavallo tra gli anni '50-'60, andavo da solo al cinema. Vedevo tutto, film di ricerca, americani, intellettuali... Hotel de l'Univers è un omaggio a questa mia educazione sentimentale". L'assenza delle immagini in scena: perché? "Non è la storia di un film, tra l'altro ne abbiamo citati tanti che sarebbe stata una ricerca immane. Si parla delle musiche del cinema, del soundtrack. Sono le colonne sonore, i pezzi dedicati al cinema che evocano e raccontano figure note dello schermo. Ed è quel film che ci facciamo noi e che si fa lo spettatore nella sua testa e nel suo cuore. Cerco di rispettarne la capacità di crearsi un valore e delle storie interiori. Forse anche per questo nel mio lavoro di drammaturgia istinto e riflessione si danno sempre la mano. La parte istintiva conta di più anche se nella traccia drammaturgica gli attori fanno del metacinema, Barthes, Cocteau, la scuola formalista russa. Il tutto però con un piglio farsesco, voglio che la gente goda di uno spettacolo, e sono io il primo che ride".
L'importante è avere una grande ironia. Lo ripete spesso Enzo Moscato, che viene voglia di chiedergli meglio. "È il contrario del senso di sé. Non ho una grande stima di me, specie verso le grandi icone che sfilano in Hotel de l'Univers mi sentivo molto inadeguato. Per me sono riferimenti mitici, la Magnani , Marilyn Monroe, è chiaro che il dislivello è enorme. Qui entra in gioco il senso dell'ironia di cui parlavo. Che poi vuole anche dire di umiltà. E riempie i personaggi in scena non solo la scrittura". Aggiunge: "ho sempre cantato, il canto scenico fa parte dei miei primordi , naturalmente allora avevo meno consapevolezza di oggi. Embargos in questo senso era protocollare, c'era un rapporto più ufficiale tra canto/canzone. Il fatto che ora alla musica e al teatro si aggiunga il cinema, a comporre una triade, rientra nell'esplorazione di più cose possibili che è per me il teatro. Dove esiste uno spazio molteplice sia interiore che esterno".

C. PICCINO, "Il Manifesto", 7 ottobre 2003