Enzo Moscato
a cura di Isabella Selmin
Nessuna parola già detta andrebbe abbandonata mai, in teatro.
E. Moscato
a cura di Isabella Selmin
Nessuna parola già detta andrebbe abbandonata mai, in teatro.
E. Moscato
Quella voce umana tutta da guardare
"Occhi gettati" un irresistibile viaggio dentro
la durezza e la dolcezza di questo mondo
con un disperato amore per la vita
In principio era la voce: una voce tersa, melodiosa, delicata, eppure forte, di quella forza che nasce dalla grazia una voce intona, fuori campo, una canzone di Libero Bovio, mentre le luci si accendono su una sobria ed essenziale: un tavolo, una sedia un attaccapanni, un paio di ritratti naif alle pareti, una gabbietta poggiata sul pavimento. L'uomo entra in scena da sinistra, di profilo, sempre cantando: un abito scuro, una paglietta, un atteggiamento fra il deciso e il malinconico.
L'uomo si chiama Enzo Moscato, è l'autore e interprete di Occhi Gettati, di scena in questi giorni al San Carluccio.
E il viaggio della voce e del corpo può avere inizio, grazie allo spietato incanto di una scrittrice ricca, forte, sottile una resistente, un filo che s'avvolge in eleganti barocchismi e che si tende senza spezzarsi mai, che imbastisce una partitura testuale d'incredibile bellezza, tutta giocata su contaminazioni, citazioni scherzi linguistici, emergenze gergali.
Una lingua viva e palpitante, dall'impatto fortemente visivo precisa come un bisturi, scarna o lussureggiante secondo i casi ma mai rigida mai retorica senza il minimo cedimento né di tono né di gusto. E questo basterebbe per fare di Moscato un maestro: forse nessun altro è in grado oggi, nel nostro paese di produrre una scrittura così straordinaria (non è certo per caso che Moscato ha vinto l'anno scorso il premio Riccione Ater con la sua Piéce Noir). Lo spettacolo in esame nasce dall'accorto missaggio di cinque monologhi: Cartesiana, avventura fantastica ed esilarante di un transessuale che aspira al vero amore da vera donna; Luparella, un racconto nero e durissimo, in cui sembrano materializzarsi - evocate dalla voce di Moscato - le immagini in sequenza dell'orribile miseria del tempo di guerra con le figure della prostituta che muore di parto e del soldato tedesco che tenta di abusare del suo cadavere; 'E faccie 'e San Gennaro, il travestito "di conseguenza" che minaccia di rivelare all'intera città la sua storia d'amore con un camorrista macho, alla vigilia delle di lui nozze; e per concludere Desnudo Desnudo chiano chiano e Belle e Babele, due brevi brani in cui la parola di Moscato concentra tutto il suo senso misterico, esorcistico, ritualistico (pensiamo soprattutto al secondo, la voce di Enzo che interagisce con quella di Alice che canta Prospettiva Nevsky: da mozzare il fiato).
Ma non è tutto qui: perché insieme allo scrittore vive un performer elegante e controllato, un attore che usa la sua voce come il più duttile degli strumenti, un personaggio ricchissimo di storia e di umanità.
Un uomo colto, nel senso più moderno del termine: non il topo di biblioteca, ma colui che sembra aver attraversato e conosciuto col proprio corpo ed i propri nervi tutta la durezza di questo mondo, e che sa sempre trovare le parole e i toni giusti per parlarne: con forza, con passione con un disperato amore per la vita.
Enzo Moscato è un'autentica punta di diamante, il personaggio più rappresentativo, in questo momento di quella bravura nuovissima sensibilità, di quell'umanesimo postindustriale di cui tutti potremmo cominciare a sentirci parte.
A. TRICOMI, "Paese Sera", aprile 1996.