Enzo Moscato
a cura di Isabella Selmin
Nessuna parola già detta andrebbe abbandonata mai, in teatro.
E. Moscato
a cura di Isabella Selmin
Nessuna parola già detta andrebbe abbandonata mai, in teatro.
E. Moscato
‘Tà-kài-Tà’ (‘Questo e Quello’ , in greco antico ), non è un testo ‘da’ ma ‘su’ Eduardo De Filippo. Non è un racconto né una sorta di sinossi riepilogativa della sua vicenda artistica ed umana.
Così come non si basa – né vuole farlo – su alcun dato biografico ‘scientifico ‘ o storicamente fondato sulla vita , interiore ed esteriore, che a lui è toccato ‘veramente‘ di condurre.
E’ piuttosto un periplo immaginario, fantastico, (e quello della fantasia è l’unico dono ‘vero ‘, forse, che un drammaturgo, un fingitore d’emozioni e vita, può fare a un altro drammaturgo, un altro fingitore d’emozioni e vita, io credo) intorno ai pensieri e ai sentimenti – ante e post mortem - che possono avergli sfiorato, per un attimo, l’anima ed il cuore.
E’ un vagare per ipotesi, illazioni, supposizioni, né malevoli né benigne, solo magari spontanee, istintive, che implicano, però, da parte mia, due grandi cose, due grandi fedi, due speranze.
La prima, che sia possibile – soprattutto per le intelligenze superiori, quelle più vicine agli angeli e ai dèmoni – un aldilà da cui non è interdetto tornare e ancora ripercorrere queste terrestri lande desolate, per donarci almeno il riflesso – l’eco – di una voce, che abbiamo amato, che ci è stata cara e che, nella gioia e nella pena di un’inevitabile ferita, ci ha formati.
La seconda, che il gioco dell’inventare e fingere, riflettere e far splendere, la vita, che è il gioco del Teatro, non sia mai finito, mai sia stato smesso, da quelli che supponiamo ci abbiano per sempre abbandonati: i cosiddetti Morti, i Trapassati.
I quali, per l’appunto, e solo per la forza/urgenza inarrestabile e invincibile di continuare a produrre e a ‘significare’ vita, nell’eterno gioco a rimpiattino colla verità/finzione della scena, possono davvero ritornare (sia pur nell’apparente assenza totale di materia) nei sogni, nelle fantasie, nelle mancanze, le ‘defaillances’ e i làpsus, a visitare gli animi – riempendone le pagine – di chi non li ha scordati.
La ragione principale della scrittura di questo testo è che davvero esso, in questo momento e in tutta Europa, se non in tutto il mondo, è l’unico lavoro su Eduardo De Filippo scritto non da Eduardo di Filippo.
Ritengo che sia dall’epoca del grande Leo (inizi anni ‘80) che un’operazione del genere non è stata più osata e per di più, mentre la bellissima rivisitazione di de Berardinis si proponeva in chiave esclusivamente scenica, la mia si spinge – e lo dico con tutta l’umiltà – fino a tentare una sorta di ri-scrittura ‘per frammenti’ (naturalmente immaginaria, fantastica) della stessa anima del nostro più importante drammaturgo del secolo scorso.
Omaggio originale, creativo, non conformista che ho inteso dedicare alla figura di Luisa (‘Luisella’) De Filippo, secondogenita di Eduardo, morta bambina nell’ ultimo scorcio degli anni ’50. Quasi simbolo e metafora di quel breve vento di rinnovamento che carezzò Napoli dopo la seconda guerra mondiale.
(Note dell'Autore)