Enzo Moscato
a cura di Isabella Selmin
Nessuna parola già detta andrebbe abbandonata mai, in teatro.
E. Moscato
a cura di Isabella Selmin
Nessuna parola già detta andrebbe abbandonata mai, in teatro.
E. Moscato
Che cosa direbbe, oggi, Vico, dinanzi all'ennesima "barbarie ritornata" che la città di Napoli attraversa e che lucidamente egli aveva già prevista quasi tre secoli orsono?
Quale lingua o quale indignata allocuzione userebbe?
Quale grido e quale gelido silenzio opporrebbe alla 'devastazione magna' e incontrollata, da cui le istituzioni, pubbliche e private, si stan facendo trascinare?
Forse ci sono pochi dubbi: l' "oratio" del grande filosofo, operante a cavallo del Sei e del Settecento napoletani, sarebbe racchiusa nelle grandi e dissenzienti forme della Poesia, intesa, quest'ultima, nel senso di esercizio, strenuo e continuato, a superar il 'brutto ed il volgar reale' colla forza tracimativa della Fantasia.
Col potente lavorìo erosivo dell'Immaginario dentro la Parola.
E non solo quelle proprie, di forme, userebbe, ma, altresì, quelle - sconfinate ed imbrattanti, metamorfiche, esplosive, ardenti - di altri grandi spiriti del Mondo, esistiti prima e dopo di lui: Virgilio, Dante, Shakespeare, Parini, Leopardi, Artaud. . .
I cui lai e controcanti hanno costellato il ciclico crescere e azzerarsi, nei valori, del cammino o del progresso - forse solo un illusorio inganno, 'trompe l'oeil' - di quanto viene detta 'umanità'.
(Note dell'Autore)