Enzo Moscato
a cura di Isabella Selmin
Nessuna parola già detta andrebbe abbandonata mai, in teatro.
E. Moscato
a cura di Isabella Selmin
Nessuna parola già detta andrebbe abbandonata mai, in teatro.
E. Moscato
Attento a non smarrire mai la pista principale della mia ricerca espressiva a teatro, in qualsiasi luogo, ricchissimo o gramo, desolato o affollatissimo, in cui le venga richiesta di dar conto di sé, ho voluto riprendere per Hotel de l'univers - che apre ufficialmente le sceniche stagioni, presenti ed avvenire, del neonato stabile napoletano Teatro Mercadante - la traccia, ormai ai più ben nota, dei miei poetici canzonieri e meta-canzonieri, inaugurata con successo anni fa con Embargos (1994) e proseguita poi con l'altro spettacolo-disko Cantà (1999), stavolta però dedicando il lavoro tutto, silloge musicale e drammaturgia, non alla canzone o al canto in generale, come avveniva nei due precedenti, bensì a quella specifica che abita nei films o nelle pellicole, comunemente detta sound-track, leit-motiv, o colonna sonora.
Nella fattispecie, per Hotel de l'univers, dato il mare magnum delle possibili covers cinematografiche a cui potevamo attingere, Pasquale Scialò ed io, per rielaborare o creare in musica citazioni e omaggi, la canzone cinematografica che s'è voluta ricordare, o inventare ex-novo, è quella relativa agli anni della mia infanzia e adolescenza, i cosiddetti mitici '50 e '60, che videro trionfare sugli schermi, com'è noto, capolavori quali Le notti di Cabiria, di Fellini, Carosello napoletano, di Giannini, Gervaise, di René Clement, Il principe e la ballerina, di Laurence Olivier, L'eclisse, di Antonioni, etc., i cui snodi musicali, paralleli alla trama-storia filmica, e tutti a firma di eccelsi musicisti (primo, fra tutti, l'indimenticanile Nino Rota), almeno i più anziani fra di noi ancora custodiscono, nell'orecchio e il cuore, con affetto.
Al canzoniere, poi - che, a parte le citazioni-omaggi relativi al glorioso passato della Decim'Arte, offre anche brani inediti, a firma di Scialò e mia, dedicate a figure 'glamorouses' dello schermo, quali Marilyn Monroe, Anna Magnani, Tennesse Williams, Pier Paolo Pasolini, come anche ad iniziative che molti si diedero da fare per far conoscere ed amare il cinema presso i bambini dei Quartieri Popolari, a Napoli (La Mensa Bambini Proletari di Montesanto, di Goffredo Fofi e Geppino Fiorenza, fu una di queste) - è sovrapposto, od intrecciato, un meta-canzoniere, sbrindellato e parodico; una striscia, per così dire, in "s-prosa", di figure, parole, atteggiamenti; un defilé di decadute, inzallanute Muse & Musi; di logori, patetici clichés cinematografici: L'Oca giuliva, L'Arcigna puntigliosa, Il Trombone, vanesio e roboante, che, mentre, da un lato, fanno disinvoltamente il verso all' "alto" e al "sublime" schermico, sottolineano con forza il bisogno fortissimo d'Assenza d'immagini (registrate dal cinema) sul palco, che ho sentito sin dal primo istante che ho preso a scrivere il lavoro. Scelta che giustifico ed appoggio per ben tre fondati motivi, progettuali e registici, a mio avviso.
Primo: non sottovalutare ed avvilire la capacità di fantasia dello spettatore, fornendogli arbitrariamente materiali da repertorio cine-tecnico precotto.
Secondo: siamo sempre a teatro, dopotutto, non al cinema, e, per di più, all'interno di una pièce che vuole operare con i suoni, le musiche, le canzoni, di un certo tipo di films, non con le sue storie o con le sue sequenze tramatiche. Di conseguenza, ho dato predominio al senso dell'orecchio e non a quello dell'occhio, ai ritmi del "racconto", alle sue formalità in note, non al racconto in sé, alle sue cose "da guardare", percepire, vedere, etc.
Terzo, e non ultimo, servendomi per questo anche della grande lezione teorico-pratica d'amanti appassionati del cinema, quali Jean Cocteau e Roland Barthes, ho optato per l'Assenza di referenti sequenziali in scena per tentare di far nascere, tra il cinema e il teatro, spogliati, denudati dei loro (spesso) ripetitivi e inerti orpelli specifici, dei loro linguaggi (spesso) chiusi, arroccati, autodifensivi, un possibile ed inedito Terzo Espressivo, che, nato da entrambi, si apra, si spalanchi invece sull'Altro, e così li trasfiguri, li metamorfizzi, in qualcosa di nuovo, di originale, che ancora non so, ovviamente, se c'è, concretamente, in Hotel de l'univers, ma confermo ne ho avuto l'intenzione e che conservo vivamente la piccola speranza che ci sia.
Il tutto senza spocchie intellettualistiche.
Senza presunti accanimenti sperimentali o sperimentaloidi.
Come qualcuno, e disinformatamente, circa il mio lavoro, potrebbe supporre.
Anzi, giocandoci parecchio, con i miei attori/complici, grandi e piccoli.
Con Pasquale Scialò e i suoi musicisti.
Coi tecnici e i collaboratori. Tutti.
Con serenità, levità, trasognazione. Sentimenti, questi, che mi auguro possa avere anche chi, tra la critica ed il pubblico, vorrà benignamente venirci a vedere.
Pardòn: ad ascoltare. Anzi: ad "ausuliàre". Come, in napoletano antico, dice, una delle improbabili e stizzose, basilesche e "fonnachére" Muse dell' "Hotel".
(Note dell'Autore)