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Enzo Moscato - Il teatro

Enzo Moscato

a cura di Isabella Selmin


Nessuna parola già detta andrebbe abbandonata mai, in teatro.

E. Moscato

 

Sull'ordine e il disordine dell'ex macello pubblico
periplo metafisico-poetico sul cosiddetto "reale" o "storico" della Rivoluzione, a partire (o a ritornare) da quella Giacobina del 1799 a Napoli

Il testo/spettacolo è costituito mettendo insieme e facendoli alchemicamente interagire materiali eterogenei tra di loro. Si va dalla mera citazione storico-cronachistica, attinta agli scrittori più incisivi della Rivoluzione Napoletana del 1799 (Cuoco, Colletta, Croce, Settembrini, D'Ayala, Fortunato, Lomonaco, Imbriani, Marinelli, Nardini, Striano, Sontag) all'invenzione, puramente e semplicemente poetica, o immaginaria, degli stessi avvenimenti.
Dall'enumerazione minuziosa delle moltissime (e talora sconosciute) vittime della Reazione e del Terrore Sanfedista, alla registrazione, cinica e repellente, per bocca del boia d'ufficio dei Borboni, Tommaso Paradiso (!), dei fiorini e dei ducati che necessitarono all'espletamento della sanguinosa mattanza dei Repubblicani; dall'irruzione di frammenti di forte "fiction" drammaturgica, che gioca con l'esteriorità dei corpi, alla ricostruzione, tutta interiore, dello stato d'animo dei condannati, nell'estremo del loro generoso dono di vita ad un'idea, anzi: all'Idea - quella, di continuo ritornante e di continua sconfitta, della libertà e della dignità dell'uomo nella Storia - cercando di riportare il senso dell'andamento di tutta l'operazione scritto/scenica (di tutta questa eterogeneità, messa a reagire al suo interno come per una trasformazione, una mutazione chimica dei suoi elementi) verso una specie di luogo magico-evocativo, alquanto inusitato per il Teatro; verso la messa in luce di una Differenza - non un Risaputo, un'Omologazione, una Falsa Eguaglianza, o Covalenza, di dati - per quel che attiene all'esperienza del 1799. Differenza che è, poi, anche personalissima e anticonformistica cifra di riconoscimento nella maniera di vivere - o di essere vissuto da - quegli efferati avvenimenti, per l'autore/attore napoletano, che ne firma la rappresentazione.
Pertanto, si è omesso, sia sulla pagina che sulla scena, di dare una narrazione congrua e lineare di ciò che accadde a Napoli due secoli fa, come pure di compartimentare in personaggi o ruoli fittizzi, stereotipati, l'attore o gli attori che, nello spettacolo, incarnano le parole, le frasi, gli snodi linguistici ed emotivi, i silenzi, le urla, i sogni e i fantasmi che, sostanzialmente, "fanno" il testo - che, più che ri-rappresentarci cose o eventi realmente accaduti, inclina piuttosto verso un soggettivo-fantasmatico-delirante di quel Tempo e di quei Fatti, unica via possibile, forse, oggi, di ripensare, risentire e, in qualche modo, rivivere, traumi o lacerazioni violente, per convenzione chiamati Rivoluzione.

(Note dell'Autore)