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Leo de Berardinis - Bibliografia dell'autore

Leo de Berardinis

a cura di Marilena Gentile

 

Il teatro è veramente lo specchio profondo del tempo, dove l'uomo riflette se stesso, non per fermarsi nella fissità della propria forma, ma per scrutarsi, allenarsi, come un danzatore.

L. De Berardinis

Per un teatro nazionale di ricerca

in "Culture Teatrali", n. 1, autunno 1999, pp. 149-155.

Premessa
Si ha bisogno di un luogo della serenità, dell'igiene mentale, dove il rispetto reciproco delle individualità diventi un organismo che dialoga con se stesso: un luogo di riflessione, di specchiamento.
Un luogo che sia fuori dalla rissa del quotidiano, non per isolarsene sterilmente, ma per contribuire con altre forze e tensioni della società alla chiarificazione, allo scioglimento di quei grumi di violenza e soprusi che di quella rissa sono causa ed effetto.
Oggi più che mai si ha bisogno di un Teatro.
Non parlo naturalmente di un teatro che dia semplicisticamente messaggi, soluzioni, o che dibatta su argomenti, anche se importantissimi, sociali, politici o economici. Parlare di questi problemi, cercare soluzioni politiche, non basta per fare o, meglio, essere Teatro.
Sono senza dubbio pratiche lodevoli e necessarie, quando non sono demagogiche, possono anche essere fonte d'ispirazione teatrale, ma non sono Teatro.
Il Teatro ha ben altra forza: la forza del suo linguaggio, che è poesia diretta, senza filtri o falsificazioni. Partendo da intuizioni teatrali il più possibile non mediate, facendo reagire fra di loro le varie forme nello spazio ­ tempo scenico, favorendo ogni possibilità di ampie connessioni di pensiero, nasce un organismo in cui relazionarsi perché si producano idee nuove, nuove visioni del mondo che vengono vissute, sperimentate durante l'evento, che non rappresenta, appunto, ma che è.
Il residuo di questa esperienza resta negli spettatori e negli attori, diventando pensiero vivente, agito e non subito.
Un teatro che formi un pubblico nuovo con eventi teatrali nuovi e sinceri, con artisti che si rivolgano alla collettività, all'assemblea che si riunisce in sala, per capire insieme qualche cosa, anche se piccola, e non per fare carriera o avere un facile consenso.
Non i soliti teatri, quindi, con la solita programmazione convenzionale, gli attori ed il pubblico improbabili e non motivati, che dopo il cosiddetto spettacolo sono più improbabili e immotivati di prima, non un teatro dove si "rappresentano delle idee più o meno aperte a ipotesi critiche sui testi"; non un mezzo che, bene o male, tenta di comunicare qualcosa utilizzando delle forme e dei modi espressivi mutuati dalla tradizione storicizzata o dalle varie mode, in cui l'arte diventa uno strumento come un altro d'informazione, che vende pensieri - merce, ma un teatro vivo che solleciti, negli attori e nel pubblico, almeno un vago desiderio di trasformazione positiva, anche se minima.
Il rischio di una debolezza quantitativa può trasformarsi in forza qualitativa e non massificante: lo spettatore partecipa all'evento teatrale, è l'altro polo che riceve energia dall'attore e gliela restituisce, contribuendo a creare una forza nella sala, da cui tutti prendono ciò che possono, se hanno dato.
Ma perché tutto ciò avvenga, occorre una disponibilità mentale, una vocazione, una tecnica, sia per l'attore che per lo spettatore, ed una politica culturale che faciliti, invece di ostacolare o ignorare, l'essere e il nascere di quella disponibilità mentale, di quella vocazione, di quella tecnica.
Esiste ormai in Italia da quarant'anni un teatro diverso, non convenzionale, che di volta in volta è stato chiamato d'avanguardia, di ricerca, sperimentale etc., ma che potremmo semplicemente chiamare Teatro, distinguendolo dallo spettacolo commerciale o di profitto privato.
Con scarsissimi mezzi produttivi, mal distribuito, privo di strutture, questo Teatro resiste solo grazie alla determinazione e al talento degli artisti che lo praticano; essi hanno formato un pubblico non generico e più aperto in tutte quelle realtà dove hanno potuto lavorare più a lungo; sono stati scritti libri su di loro, tesi di laurea, eppure sono ancora tenuti ai margini o ignorati.
Io penso a un Teatro Laboratorio, dove produzione, distribuzione, formazione degli attori e del pubblico siano un unico organismo, a partire proprio dall'esperienza di quel patrimonio culturale, che rischia di andare disperso, e che invece andrebbe considerato come il fondamento di un Nuovo Teatro.
Per Laboratorio intendo uno spazio, un edificio mentale e fisico, dove l'arte scenica riconquisti la sua dignità e la sua vocazione; dove la tecnica, personalizzata, coincida con l'arte stessa e non vada confusa col tecnicismo piatto e omologante del teatro convenzionale e di routine; dove la libertà espressiva non sia arbitrio falsamente originale, e dove un nuovo linguaggio teatrale nasca dal possesso di un sapere antico.
Il laboratorio è lo spazio isolato dal rumore del quotidiano e dall'interesse personalistico, spazio in cui si sperimenta l'evento e si esercitano gli attori e gli spettatori all'incontro.
"Sperimentale" in questo senso, è aggettivo di esperienza e nulla ha a che vedere con l'apprendistato o con gli pseudo "work ­ in progress", né, tantomeno, con i famigerati "studi" in circolazione, essendo lo studio in senso proprio il più altro grado che un maestro affronta al limite delle proprie possibilità. Gli studi trascendentali di Liszt non sono tentativi per suonare il pianoforte, ma studiano, appunto, le estreme possibilità del pianoforte, nella loro compiutezza e maestria del momento.
Quindi non un teatro che programmi semplicemente degli spettacoli, ma che favorisca la nascita e la crescita di una diversa mentalità, di un diverso modo produttivo e lavorativo, che coinvolga anche studiosi e specialisti delle varie discipline, che, messe in relazione, diano vita a quel fenomeno complesso, eppure semplice, che è l'evento teatrale.
Parlo di evento teatrale e non di spettacolo, per il quale basta purtroppo un pubblico non motivato, impreparato, solo disposto a perdere tempo e denaro, e che serve più che altro a dare alibi quantitativo ai vari direttori e gestori di teatri pubblici e privati.
Al centro l'attore, la cui sola presenza è già teatro, quel teatro semovente, generoso nel ricevere e nel dare, che affronta, abbatte o aggira gli ostacoli a seconda delle circostanze, che percorre e ripercorre quotidianamente un tragitto.
L'attore si pone umilmente di fronte alla tecnica, dalla più semplice, di base, alla più complessa; la sperimenta aggregandola e disgregandola, negandola e riaffermandola, la verifica in un'assemblea, modificandola e tenendola costante; porta se stesso, il suo essere teatro in diverse situazioni pubbliche, per confrontarsi, ricevere e ridare stimoli. E dalle diverse esperienze ricava nuove angolazioni, nuove ipotesi. E se la vita è metafora di un qualcosa che ci sfugge, il teatro non è una metafora della vita, ma una metafora più profonda di questo qualcosa. Metafora che modifica magicamente l'uomo.
Credo sia questo il possibile paradigma del vero attore. E questo paradigma, che soltanto pochissimi possono praticare in isolamento, bisogna che diventi schema di formazione, bisogna che diventi fisicamente un edificio teatrale.
Un luogo che con il proprio agire possa parlare al pubblico in maniera differente, con proposte non univoche, che abbiano in comune il semplice concetto che il teatro è uno strato più profondo della stessa vita - metafora.
Il teatro quando è vera opera d'arte parla agli uomini, interagisce profondamente con essi, diventa meditazione, esperienza sintetica e veloce sia del vero che del reale. Ed alla parola meditazione sarebbe ora di non dare più la connotazione tetra, invernale, sacrificatoria in senso volgare, che la pseudo cultura le attribuisce. La meditazione può anche far ridere.
Che cosa dovrebbe allora essere un Teatro nazionale di Ricerca, se non un corretto modello di un Teatro pubblico?
Un luogo di igiene mentale, libero da condizionamenti economici e di pensiero, dove è l'incontro, l'evento a produrre nuove visioni non di massa, ma di individui, ognuno a suo modo, dove la realtà possa essere rielaborata con inaspettate connessioni, non imposte ma vissute.

Il Teatro Nazionale di Ricerca
Da anni parlo di teatro popolare e di ricerca. Ma bisogna intendersi. Teatro popolare significa elevare e non abbassare la forza e l'emozione poetica. Popolare è il Teatro greco. Popolari sono Shakespeare e Mozart. Il pubblico deve ritrovarvi la bellezza, averne nostalgia quando ne esce, e così rivendicarla nella vita, nella società. Certo occorrono maestri, grandi maestri.
La ricerca è un andare oltre la routine e le incrostazioni che impediscono la creatività. Ma alla sperimentazione si arriva dopo un lavoro enorme: non è di certo lo spontaneismo in palcoscenico.
Attori si nasce ma si diventa. Le capacità naturali vanno rigorosamente affinate nella tecnica, poi bisogna far sparire la tecnica, come nelle arti marziali, come nel tai ­chi: si recupera il movimento naturale della difesa e dell'attacco fino a non pensarlo più, mentre il corpo agisce per intuito profondo.
Il Teatro Nazionale di Ricerca che pensiamo si presenta come una speciale forma di stabilità pubblica, luogo per la ricerca sullo studio dei linguaggi non solo teatrali, ma sull'arte dal vivo in generale, che possa tendere a riunire le varie arti sceniche.
Un grande laboratorio permanente per la formazione di attori, tecnici, organizzatori e amministratori, e finalizzato alla creazione di opere originali, dove il concetto di attore - autore si concretizza direttamente sulla scena. Gli elementi fondanti di questo teatro sono:
l'arte dell'attore,
le prove come processo creativo e di formazione,
l'indipendenza come sviluppo di una propria idea di teatro,
il confronto con linguaggi e contesti differenti (ad esempio la lirica, la televisione, il cinema, il jazz, la danza),
la riunificazione delle arti sceniche,
il collettivo come strumento non effimero per creare (possiamo pensare alla formazione di una compagnia teatrale pubblica),
il laboratorio come modello di formazione e incontro permanente, il confronto con il pubblico, inteso non come soggetto-oggetto indifferenziato, ma come spettatori consapevoli e critici,
la concezione degli spazi teatrali come luoghi dell'incontro e della relazione, con annessi locali di consultazione visiva e di lettura.
La creazione di una rivista di approfondimento teatrale su supporto cartaceo ed elettronico.
Il Teatro Nazionale di Ricerca dovrà restituire un senso al teatro d'arte come anima di un nuovo teatro pubblico, e rilanciare il teatro e la cultura non come mezzi di potere o di consenso, o come sottoprodotti, ma come necessità primaria in un contesto di rinnovato stato sociale.
Bisognerà definire pertanto le competenze del ruolo istituzionale e del ruolo artistico, riconoscendone differenze e autonomie, sia a livello centrale che locale, perché il rinnovamento non sia soltanto sulle scene, ma costituisca un ciclo virtuoso, riformulando una politica culturale in cui l'innovazione sia più forte della norma.
Sul piano culturale quindi il Teatro Nazionale di Ricerca deve diventare un centro di aggregazione e di confronto sulla cultura teatrale e non un semplice locale dove avvengono spettacoli.
Dovrà essere un luogo di pensiero, di progetto, di rischio e di trasmissione di esperienze.
Alla luce di tutto questo, (e avendo già sperimentato un rapporto fruttuoso, attraverso una convenzione pluriennale con l'Amministrazione Comunale e il sostegno della Regione Emilia Romagna con la creazione di un primo teatro - laboratorio pubblico) Bologna, con il Teatro di Leo, potrebbe diventare un esempio italiano di Teatro Nazionale di Ricerca o più precisamente la sua "sede madre", pensando, in seguito, di articolare, a seconda dei progetti annuali, collaborazioni anche con altre città italiane.
Il San Leonardo con le sue due sale sarebbe un primo spazio per provare, fare seminari aperti - non destinati, cioè, soltanto a chi vuole praticare il Teatro come attore, tecnico, regista etc., ma anche ai cittadini di altre professioni e mestieri - proprio per la formazione di quel pubblico che è l'altro polo essenziale perché il teatro avvenga.
Oltre alle prove, al debutto e, ovviamente, alla distribuzione di alcune produzioni, il Teatro Nazionale di Ricerca prevederà>BR /> seminari e laboratori con maestri della scena,
l'ospitalità di alcune compagnie significative di Teatro, sia nazionale che internazionale,
una rassegna di gruppi poco conosciuti, ma significativi,
una programmazione musicale e di danza.
Sarà quindi indispensabile praticare prezzi contenuti e tendere alla qualità e non alla massificazione dei due poli essenziali al Teatro: l'attore e lo spettatore.
Al fine di non decontestualizzare il discorso della riunificazione delle arti sceniche si dovrà prevedere la formazione di un gruppo di studiosi per affrontare temi di grande o basilare interesse teorico per quanto riguarda l'arte scenica e la possibile creazione di un quaderno ­ rivista di documentazione.
Una delle due sale, inoltre, sarà strutturata a "teatro di posa", per un'attività collegata al rapporto tra teatro e opere riproducibili (televisione, cinema, cd) da proporre a reti nazionali o tematiche, in collaborazione con la RAI o con altre strutture radiotelevisive.
Prima attività per un Teatro Nazionale di Ricerca sarà un Labora-torio d'arte scenica a cura di Leo de Berardinis che si svolgerà in collaborazione con l'ETI, Ente Teatrale Italiano a maggio e giugno 1999 a Bologna e Roma, dal titolo Come una rivista.

Leo De Berardinis