Roberto Bracco
a cura di Marilena Gentile e Samanta Scidone
Il teatro di prosa - non par vero - è un po'... come l'Amore, quanto più si discorre d'Amore, tanto meno l'Amore finisce.
R. Bracco
a cura di Marilena Gentile e Samanta Scidone
Il teatro di prosa - non par vero - è un po'... come l'Amore, quanto più si discorre d'Amore, tanto meno l'Amore finisce.
R. Bracco
Roberto Bracco nasce il 19 settembre del 1860 a San Gregorio Armeno, nel "cuore" di Napoli: anche per questo motivo, egli è fortemente legato alle sue radici. Secondo quanto scrive Pasquale Iaccio ne L'intellettuale intransigente egli era alto un metro e settanta, aveva una corporatura esile, capelli grigi, viso ovale, colorito naturale, occhi chiari, naso greco, baffi a spazzola e bocca di forma media.
Sappiamo che Bracco frequenta l'Istituto Tecnico e che all'età di 16 anni lascia la scuola per impiegarsi presso una ditta di spedizioni. A 18 anni inizia la sua carriera di giornalista scrivendo per "Il corriere di Napoli": era stato, infatti, Martino Cafiero, direttore del quotidiano, ad iniziarlo al mondo della carta stampata, dove lavorò con lo pseudonimo Baby per lungo tempo. Dopo l'esperienza al Corriere, Bracco collabora anche con: "La stampa", il "New York Times" e molti altri giornali e riviste sia nazionali che esteri. Debutta come drammaturgo, a venticinque anni, con la farsa Non fare ad altri..., portata in scena da Ermete Novelli.
I suoi primi lavori hanno la forma dell'atto unico.
Nel 1892, Bracco entra nel vivo del teatro naturalista italiano con il dramma Una Donna, interpretato dall'attrice Tina Di Lorenzo; l'anno dopo ha luogo l'incontro con Ermete Zacconi, decisivo per la sua carriera. Da questo momento, infatti, Roberto Bracco scrive una serie di drammi sociali; il primo è Maschere del 1894.
L'esordio di Bracco in teatro è davvero strepitoso ed esprime il desiderio dell'autore di superare i regionalismi e il napoletanismo piedigrottesco: egli, infatti, tende all'affermazione di una cultura Nazionale.
I suoi interessi non si limitano solo al giornalismo e al teatro, ma si estendono anche alla critica (teatrale, letteraria, musicale, cinematografica) e al cinema muto, per il quale, dal 1912 al 1923, autorizza e cura in prima persona la trasposizione di alcune sue opere: un titolo per tutti è Sperduti nel buio (1914), realizzato in collaborazione con Martoglio. Inoltre, Bracco è anche autore di canzoni (ricordiamo ad esempio Africanella, 1892), novelle, poesie e scritti sullo "Spiritismo".
Nella sua Storia del teatro napoletano Vittorio Viviani scrive di lui : "Non era un colto, Roberto Bracco, ma era un signore; e s'era fabbricato un suo modo di scrivere ch'era sempre un naturale conversare, un dire quanto più possibile cose precise". Molte delle informazioni pervenuteci su Bracco si devono a quella incessante persecuzione che il Regime fascista esercitò sulla sua persona e sulla sua vita fino al 1943, l'anno della sua morte: per circa vent'anni, infatti, egli fu relegato ad una sorta di "confino" dovuto al suo dichiarato antifascismo e alla sua omosessualità. Uno stretto controllo fu riservato anche a coloro che lo circondavano e fu per questo motivo che molti lo abbandonarono e, probabilmente, lo tradirono. Gli fu sempre vicina la moglie, Aurelia Del Vecchio, incontrata nel 1924 e, sposata nel 1939. Ella, infatti, lo sostenne in tutte le sue scelte politiche ed intellettuali, esponendosi spesso in prima persona. Non era certo semplice essere la compagna di Bracco. Fino alla fine, fu escluso dalla vita politica e sociale, fu minacciato nella sua incolumità con aggressioni in pubblico e sfide a duello, secondo una usanza del secolo precedente. Grazie al suo carattere impetuoso e "guascone", Bracco affrontò ognuna di queste sfide con grande coraggio: intorno al 1883 egli sostenne il suo più grave duello alla sciabola, combattendo contro Francesco Lionelli, che gli spaccò con un colpo deciso, il braccio destro. Fortunatamente, l'assistente di quest'ultimo, Agostino Casini, lo soccorse, evitandogli una probabile amputazione del braccio.
Nonostante tutto, Bracco non smise mai di combattere e di difendere le sue idee. Verso gli ultimi anni della sua vita, si dedicò alla sua Opera omnia, pubblicata in 25 volumi, alla quale lavorò assiduamente dal 1935 al 1942.
Il 20 aprile dell'anno successivo, egli si spegne a Villa Manning, in Sorrento, assistito amorevolmente dalla moglie. È sepolto a Napoli, la città che gli aveva dato i natali, alla quale era legato da un grande amore.
L'edizione dell'opera fu curata dal Dott. Gino Carabba di Lanciano, un editore che ebbe un ruolo di rilievo nella cultura italiana tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento.
Il Regime, tuttavia, impedì la circolazione di questa raccolta per molto tempo, confermando, ancora una volta, ciò che Bracco diceva quando accusava il Fascismo di aver distrutto la società letteraria a cui egli era legato.