Roberto Bracco
a cura di Marilena Gentile e Samanta Scidone
Il teatro di prosa - non par vero - è un po'... come l'Amore, quanto più si discorre d'Amore, tanto meno l'Amore finisce.
R. Bracco
a cura di Marilena Gentile e Samanta Scidone
Il teatro di prosa - non par vero - è un po'... come l'Amore, quanto più si discorre d'Amore, tanto meno l'Amore finisce.
R. Bracco
Dramma in tre atti, rappresentato per la prima volta al Teatro Verdi di Trieste, il 14 novembre 1901, dalla compagnia Talli-Gramatica-Calabresi.
I protagonisti sono, Paolina e Nunzio, entrambi figli di padre ignoto. Nunzio è cieco, ed è succube di Franz Cardillo, che lo sfrutta come suonatore di pianoforte nella sua bettola frequentata da malviventi e prostitute. In questo luogo malfamato egli conosce Paolina una quattordicenne mendicante, cresciuta nella miseria e nella ignoranza più totale. Ella entra nella bettola per evitare l'inseguimento di un poliziotto. Anche Paolina, come Nunzio, è cieca, perché vive una esistenza vuota e priva di valori senza accorgersene minimamente. Paolina e Nunzio fuggono insieme ed egli le insegna a cantare accompagnandola con il violino. Dopo sette anni di una vita stentata, Paolina si lascia irretire dalle false promesse di una mezzana che le fa intravedere una vita diversa. Quando per un attimo pensa di ritornare indietro le viene imposto di non farlo con la minaccia di uccidere Nunzio. E' così che sceglie di concludere la sua esistenza così come l'aveva iniziata; apparentemente fa tutto per salvare la vita a Nunzio ma, in realtà, non riesce a sfuggire al suo destino. Forse avrebbe potuto evitarlo se il padre da lei mai conosciuto, il ricco Duca di Vallenza, l'avesse riconosciuta come sua figlia naturale. Paolina, infatti, era nata da un'avventura giovanile del Duca con una fanciulla da lui sedotta. Con gli anni, il Duca, che vive in balia di un'amante corrotta e venale prova rimorso nei confronti di una figlia mai riconosciuta e la cerca, senza fortuna, per darle ciò che le aveva sempre negato. La morte lo sorprende prima che egli possa renderle il mal tolto.
I tre atti del dramma sono esempio di una superba bellezza artistica: il primo e il terzo sono ambientati in uno scenario squallido e misero e, in tal senso, si contrappongono al mondo artificiale e sontuoso del Duca di Vallenza, rappresentato nel secondo atto. Ma ciò che unisce i tre atti è il filo logico-morale che accomuna le vite dei tre personaggi: ognuno di loro brancola nel buio e non potrà contrastare "l'ineluttabilità del proprio destino". La critica ha definito Sperduti nel buio il capolavoro di Roberto Bracco, ma anche uno dei più potenti testi del teatro drammatico coevo. Quando l'opera viene portata in scena per la prima volta, per il capriccio della Gramatica di interpretare il doppio ruolo, di Paolina e dell'amante del duca di Vallenza, si crea una certa confusione nel pubblico, tanto da togliere forza al testo. Successivamente il testo viene valutato ed apprezzato in tutto il suo vigore drammatico. Sperduti nel buio, infatti, seduce produttori e registi del cinema muto e parlato. Nel primo caso la trasposizione cinematografica è ad opera di Nino Martoglio e dello stesso Bracco: "Il film è considerato un capolavoro del cinema muto italiano e gli esperti cinematografici ne lamentano tuttora la scomparsa, avvenuta durante l'occupazione tedesca nell'ultima guerra" (P. Iaccio, L'intellettuale intransigente. Il fascismo e Roberto Bracco, Napoli, Guida editori, 1992, pp. 33-34).
Nel cinema parlato il testo viene realizzato con la regia di Camillo Mastrocinque per la magistrale interpretazione di Vittorio de Sica e Fiorella Betti. L'opera seduce anche il musicista siciliano Stefano Donaudy che, su libretto di Bracco, trasforma il testo in opera lirica di grande valore anche se di breve successo.