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Roberto Bracco - Articoli vari

Roberto Bracco

a cura di Marilena Gentile e Samanta Scidone

 

Il teatro di prosa - non par vero - è un po'... come l'Amore, quanto più si discorre d'Amore, tanto meno l'Amore finisce.

R. Bracco

Gemma Bellincioni al teatro di prosa

NOTA. - Mi occupavo della celebre cantante che fu la compagna del grande tenore Roberto Stagno. Dal Mattino. 1902.

(Salotto dell'Hótel de Londres.)

IO - Dunque, reciterete, a Firenze, La signora dalle camelie. Eccovi sulle scene del teatro di prosa.

LEI - Intendiamoci: a scopo di beneficenza.

Lo - Voi siete una benefattrice anche in musica.

LEI - Ma in prosa io benefico pure un po' me stessa. Ah, l'arte drammatica sarebbe la mia passione!

IO - Questo si vede.

LEI - Si vede soltanto?

IO - Si vede e si sente.

LEI - Ebbene, è così! Io, come uditrice, amo la musica per la musica; ma come cantante amo la musica per quel che essa esprime, per quel tanto di sangue, di carne, di nervi e di cuore che è in una combinazione di note. Io non ho potuto mai distaccarmi dal contenuto umano d'una melodia o d'una frase musicale affidata alla mia gola. E se questo contenuto non c'è, devo mettercelo io. Le note devono diventare una estrinsecazione dell'anima mia assorbita dal personaggio. Sono infelice quando le linee di questo personaggio mi sfuggono. E quando invece le vedo nette o le creo con la mia fantasia, io trovo, senza nessuna fatica meccanica, nella mia gola, tutto ciò che mi basta per cantare. E dico tutto ciò che mi basta, perché non ho mai preteso di meravigliare e affascinare il pubblico con la mia voce. Se avessi avuta questa pretensione, probabilmente adesso non potrei più aprir bocca. D'altronde, capisco che nel teatro lirico il meccanismo, d'ogni sorta, ha una grande importanza. E soprattutto per questo io preferisco il teatro di prosa, dove per esprimere dei sentimenti e delle sensazioni non si ha da superare mille ostacoli. Ah, che godimento per un artista! Niente pastoie, niente costrizioni, niente convenzionalismi, niente obbligo di vociare.

Lo - Niente tenori...

LEI - Sicuro! Niente tenori, che sono una vera angoscia!... Recitare è una liberazione. Libera arte in libere anime!

IO - E giacché tutta questa libertà di arte vi seduce tanto, perché non abbandonate il teatro lirico per il teatro di prosa?

LEI - Mi sembrerebbe di commettere un tradimento.

IO - In verità, il tradimento è già un po' commesso.

LEI - Come?

Lo - Per voi, consentitemi il paragone, il teatro lirico è il marito, il teatro di prosa è l'amante.

LEI - lo non gli concedo che un flirt.

IO - Recitando a Firenze, passerete dal flirt all'amore.

LEI - Per una volta, non conta.

UN CAMERIERE DELL'HOTEL - E' permesso?

LEI - Avanti.

(Il cameriere entra, recando un magnifico fascio di garofani e una lettera.)

LEI - (odora i garofani, e guarda la lettera - Sorride -Effetto di denti perlacei fra labbra rosse e sottili.) Mettete tutto lassù.

IO - Senza complimenti. Leggete.

LEI - Più tardi.

IL CAMERIERE - Si chiede una risposta.

LEI - La risposta è: "grazie!"

IO - Se ne contenta?

LEI - Senza dubbio.

(Il cameriere esce.)

IO - E avete già fatte molte prove della Dame aux camelias?

LEI - Parecchie. Oh! Per me sono ore deliziose!

IO - E non vi riesce difficile dire in prosa ciò che avete sempre detto in musica? In altri termini, non vi riesce difficile di tradurre Violetta in Margherita Gautier?

LEI -No, no. Per fortuna, Giuseppe Verdi non sacrificò al melodramma né una sfumatura, né una vibrazione del personaggio di Margherita. Se Margherita - quella che io immagino vera e viva - avesse parlato cantando, e se un disco fonografico avesse potuto custodire la sua voce, in questo disco si sarebbe trovata la musica di Verdi.

IO - Ma, appunto, non provate voi l'ossessione di questa musica? Non vi pare di non potere scindere parole, amore, ebbrezza, spasimo, agonia dalla musica che avete già, non solamente nella gola, ma altresì nell'anima, che è poi l'anima di Violetta divenuta vostra?

LEI - Io non so dirvi precisamente quel che accade in me. Certo è che, recitando la parte di Margherita, io non faccio alcuno sforzo. Luigi Rasi, che dirige le prove, mi assicura che la mia recitazione è naturalissima. Qualche difetto di pronunzia - egli dice - è dovuto alla mancanza di esercizio. E' una pronunzia un po' dura, o, per lo meno, non abbastanza dolce, non abbastanza scorrevole. Ma questo non ha nulla di comune con l'ossessione musicale. Mentre recito, io dimentico la musica. 0, meglio, io non la ritrovo, non saprei ritrovarla più nella mia gola e nei miei orecchi. Gli è, forse che essa mi resta nelle fibre come un fluido. E sapete quando mi turba un po'...? Mi turba un po' in qualche episodio in cui il dramma di Dumas mi sembra un tantino meno vero e meno sincero. Alle prime frasi della famosa scena fra Margherita e il padre di Armando, io mi smonto. La cosa più logica di questo mondo mi parrebbe che Margherita mandasse al diavolo quel seccatore. Ed ecco che il mio criterio di donna produce in me una distrazione. Io non vivo più sulla scena. Analizzo con freddezza. Il ricordo della musica si risveglia; e mi domando: "com'è che in musica va bene e in prosa no?" Ma, per fortuna, ben presto mi riafferro. Quando Margherita si decide a compiere il sacrifizio di rinunziare ad Armando, c'è qualche cosa che mi convince.
Ella è una malata. Le condizioni misere del suo corpo esercitano una influenza sul suo spirito, sulla sua mente. E' uno stato morboso. Ella ha bisogno di sacrificarsi. il sacrifizio è per lei un ideale: è l'ideale della redenzione. Sino allora, ella amante riamata, è stata felicissima. La felicità non redime.

IO - (in segno di profonda ammirazione, guardo fisso il suo volto un po' stecchito come per una contrazione doloroso e i suoi grandi occhi corruschi, su cui passa, velandoli per un istante, l'ombra d'un enigma.)

LEI -Margherita è e deve essere una cocotte al primo atto; ed è semplicemente un'innamorata, un'appassionata ed una donna felice finché non sente morbosamente la necessità d'idealizzare la sua vita. E queste sono, secondo me, le tre fasi del personaggio. Senza la prima fase - quella, cioè, della cocotte - la seconda, che è I'innamoramento ed è la felicità, non avrebbe nessun rilievo, e la terza, che è il sacrifizio idealizzatore, non avrebbe nessun significato.

IO - Benissimo!

LEI - Lo dite sul serio?

IO - Tanto sul serio che vorrei stenografare le vostre parole per offrirle ai lettori d'un giornale.

LEI - Sicché voi siete un intervistatore? Peccato! Vi credevo semplicemente un amico.

IO - Gli amici delle belle donne o delle grandi artiste sono sempre degli amici a doppio fondo.

(Si picchia timidamente all'uscio.)

LEI - Chi è?

(Silenzio.)

LEI - Ma avanti! avanti!

IL CAMERIERE DEL CONTE X - (entra camminando quasi sulla punta dei piedi, fa un inchino, lascia sopra la consolle uno splendido fascio di rose, fa un altro inchino, ed esce.)

IO - Neanche "grazie" questa volta?

LEI - Non mi è stata chiesta una risposta.

IO - Il colmo della discrezione.

LEI - Un amico… senza doppio fondo.

IO - Senza nessun fondo addirittura.

LEI - Quel che mi preoccupa è I' "addio".

IO - Quale "addio"? LEI - L' "addio" di Margherita ad Armando.

IO - Ah già! E perché, perché vi preoccupa?

LEI - Perché se Margherita si mostra troppo commossa, Armando non la lascia mica partire. Io penso che la grande commozione, che le attrici spiattellano alla ribalta in quel momento, dovrebbe essere invece tutta interiore, dovrebbe essere dissimulata.

IO - Ottima idea!

LEI - Ma se io la dissimulo, la scena resta monca, e il pubblico resta freddo. Nella Traviata, in quel punto lì, c'è nientemeno che I'Amami Alfredo! Con quelle note divine, mio caro, gli spettatori piangono senza che pianga Violetta. Ma, in prosa, come si risolve il problema?

IO - Vi riconciliate col teatro lirico?

LEI - Ve lo dirà dopo la rappresentazione della Dame aux camelias. Per ora...

IO - Per ora?

IL CAMERIERE DELL'HOTEL - La carrozza è giù.

LEI - Per ora, vado a Posillipo.

IO - Con tutte queste rose e con tutti questi garofani?

LEI - No.

IO - Con Armando?

LEI - Ci vado sola. Basto a me stessa.